sabato 20 luglio 2019

Ritorno alla Luna e alla Rimini dei miei 16 anni.

Il lanciatore Saturno 5 sulla rampa di lancio
Non avrei mai creduto che, per mezzo secolo, l'equipaggio dei nostri voli spaziali sarebbe rimasto inchiodato all'orbita bassa, all'orbita della Stazione Spaziale ISS, che gli astronauti avrebbero continuato a fluttuare in assenza di peso, con danni enormi alla fisiologia del corpo legata indissolubilmente alla forza di gravità.
Matto se, il 20 luglio 1969, qualcuno mi avesse detto che, in questo strano 2019, non sarebbe più stato più con noi il mio inseparabile Tiziano contento di fantasticare con me della luna, degli UFO e sull'amore per una donna destinato durare per sempre. Questo sabato mattina, 20 luglio 2019, è inevitabile il tuffo indietro di cinquant'anni in quella domenica della frenetica estate riminese, quando Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins raggiunsero la luna in mondovisione. Rileggo quello che scrissi nel mio blog qualche anno fa e mi commuovo un po'.



Luna 1969: globalizzazione e forse anche di più.
Daniele Leoni, 11 Gennaio 2011.
Buzz Aldrin, sulla luna vicino al LEM, nel 1969
"Il primo evento della globalizzazione, fu lo sbarco sulla luna del 20 luglio 1969" L'hanno detto a Radio 3, ieri mattina. Non sono riuscito a capire chi fosse perché ero in altre faccende affaccendato e orecchiavo la trasmissione in sottofondo. Ma è stato un lampo di luce e la mia mente ragazzina ha fatto un tuffo indietro di quarant'anni. Avevo sedici anni, era domenica sera. Mio padre era più curioso di me. Quella sera non c'era bar, non c'era partita. Lo ricordo perfettamente, vicino a me, incollato alla televisione comprata da poco, con la mamma che sfaccendava e diceva che sarebbe stata ora di andare a letto. Ma ridacchiava e, sotto sotto, tendeva l’orecchio e guardava il piccolo schermo con la coda dell’occhio. Il grande Tito Stagno a conduceva la diretta Rai in coppia con l'indimenticabile Ruggero Orlando, via satellite dagli Stati Uniti. La mattina dopo dovevamo andare a lavorare. Anch'io dovevo perché d'estate, finita la scuola, ero commesso all'Omnia Grandi Magazzini di Rimini, che lavorava a pieno regime per la stagione balneare. Andammo a letto che era già giorno. A dir la verità non mi addormentai perché il mio cuore volava assieme ai tecnici della NASA. Mi figuravo di essere uno di loro. - E forse chissà - pensavo - fra qualche anno sarà possibile anche per me fare un viaggio fino alla luna ...-

Rimini 1969. Io, Daniele Leoni, al centro
Anche a Rimini era iniziato il 68 studentesco. Fu un periodo di grande contestazione. Io ero di sinistra, però non ero comunista. Ondeggiavo fra l'anarchia e la socialdemocrazia. Odiavo la violenza e l'illegalità. Mi ricordo una litigata furibonda con i compagni del circolo anarchico Camillo Bernieri perché avevano rubato le lampadine dell'albero di Natale del Comune. Dovevano fare le luci psichedeliche per una festa. Io sostenevo che il Natale, albero del Comune compreso, faceva parte del sentimento popolare e del patrimonio collettivo che ogni buon anarchico doveva rispettare. Fui spernacchiato. Fui accusato di essere uno sporco borghese, infantile e controrivoluzionario. A dire la verità tutti quegli arruffa popolo con i loro discorsi pieni di "cioè" mi sembravano marziani. Ma ogni tanto avevo il dubbio che, forse, il marziano ero io. E fui così che mi avvicinai ai giovani del PSI, alla ricerca disperata di uno spazio coraggioso, fors'anche rivoluzionario, ma lontano anni luce dalla stupidità. Non fu una gran avventura quella dei socialisti. Mi ci attaccai come se fossero stati la sola possibilità. I comunisti, pur avendo un nobile ideale, avevano una storia macchiata di sangue ed erano caratterialmente violenti e stupidi. I democristiani erano dei preti, "falsi come sepolcri imbiancati": l'aveva detto anche Gesù Cristo. I fascisti erano il male assoluto e l'estrema sinistra era peggiore dei fascisti.
Manifesto Evento Luna
Se ci fosse stato il partito degli astronauti, di coloro che puntavano allo spazio cosmico per risolvere i nostri problemi terreni, io mi sarei decisamente iscritto a quel partito. L'avrei fatto per tanti motivi, tutti razionali e tutt'altro che fantasiosi. Innanzi tutto per la sfida tecnologica portata all'estremo con ricadute eccezionali in ogni comparto dell'industria e quindi dell'economia. Poi per il carattere di gara, e non di conflitto fra le nazioni, che ha la conquista del cosmo. Infine per l'intrinseca necessità di unire gli sforzi fra le nazioni qualora l'impresa fosse proprio grandiosa come la colonizzazione di un nuovo modo. Mi sarei scritto al partito degli astronauti per due ragioni di fondo. Che dallo spazio la terra si vede come un piccolo e fragile pianeta dove le guerre fra i popoli manifestano, a colpo d'occhio, tutta la loro stupidità. Che l'homo sapiens, dicono gli antropologi, non appena alzò il capo, si mise a guardar le stelle. L'uomo guardava la natura con un'attenzione diversa da quella del predatore o della preda minacciata. La sua attenzione oltrepassava, pur essendo egli parte dell'ecosistema, i limiti della catena alimentare. Il suo sguardo, che cercava oltre l'orizzonte, incontrava inevitabilmente il cielo. Il suo cervello bambino fantasticava. Desmond Morris sostiene che noi, la scimmia nuda, manteniamo le caratteristiche infantili del nostro cervello anche nell’età adulta. Da adulti continuiamo a giocare e a curiosare come bambini. Gli altri animali invece, una volta cresciuti, non giocano più con la stessa intensità dei loro cuccioli. Allora i nostri antenati, che volendo arrivare immediatamente alle conclusioni come bambini, inventavano delle favole. Così si spiegano la mitologia e le religioni ma anche la filosofia e la scienza, sfaccettature diverse di quella meraviglia che è la nostra mente. Così si spiegava lo sforzo collettivo immane che portò Neil Armstrong a lasciare la propria impronta sulla luna e a issare lì la bandiera a stelle e strisce. Così pensavo, e penso tutt’ora.
Una rappresntazione atristica di Tritone, satellite di Nettuno
I compagni invece non erano d’accordo. Non solo i compagni, non era d’accordo nessuno a Rimini e in Italia. Lo stesso progetto Apollo della NASA era il risultato della volontà di quel grande uomo che fu il Presidente John Kennedy, che fu capace, fra l’altro, di evitare l’olocausto nucleare (Cuba ottobre 1962). Nel 1963 Kennedy morì a Dallas vittima di un complotto. Ma ci sarebbero voluti anni per cancellare la grande sfida pacifica kennediana che aveva per obiettivo la conquista della luna. Non la affossarono sul nascere perché nessuno ne capì la portata. Chi poteva prevedere che se io, voi, i nostri figli oggi dialoghiamo in rete e se miliardi di cervelli umani sono interconnessi da internet, il merito sarebbe stato del progetto Apollo? La microelettronica e le nanotecnologie sono figlie del progetto Apollo. I satelliti, il software di telecomunicazione e i telefoni cellulari sono figli del progetto Apollo. Il progetto Genoma Umano è figlio del progetto Apollo. Gli scettici diranno che si sarebbe fatto lo stesso. Forse, ma non credo che tutto sarebbe avvenuto in così poco tempo. Ora ci siamo, la società è globalizzata. Le telecomunicazioni e l’informatica sono a bassissimo costo. I trasporti sono ottimizzati e velocissimi. I focolai di guerra sono sotto controllo anche se non mancano le sbavature; però la pace è percepita come valore universale. Anche la crescita della popolazione mondiale è sotto controllo sebbene non manchino le sbavature; però tutto fa pensare che si stabilizzi entro questo secolo. Vorrei ricordare un economista americano abbastanza bistrattato. Ingiustamente bistrattato. Si tratta di Julian Simon, che sosteneva che l’aumento del consumo di risorse è addirittura positivo poiché stimola la ricerca di nuove risorse e di nuove soluzioni. E se tanti cervelli sono impegnati assieme dal bisogno pressante di trovare queste nuove risorse e soluzioni, esse saranno trovate più velocemente. Così la prospettiva è la diminuzione ulteriore dell’analfabetismo, della fame e l’aumento del benessere e delle aspettative di vita. Quindi è tutto risolto almeno in prospettiva? La mia opinione è che le telecomunicazioni e internet ci consentiranno di sfruttare al meglio l’ultima risorsa”, quella che risiede dentro di noi, cioè la nostra intelligenza.
Papa Giovanni XXIII pronuncia il discorso della Luna
Ma si fa strada un pericolo soprattutto in occidente, che, alla lunga, diventerà globale: l’invecchiamento della popolazione. E’ una minaccia subdola, piena di interrogativi e di nuove sfaccettature insidiose. Ho la sensazione che, per fronteggiarla, dovremmo trarre ispirazione dalle parole di Papa Giovanni, contemporaneo e amico del Presidente Kennedy. Dal discorso della luna, pronunciato in Piazza San Pietro, l’11 ottobre 1962, all’apertura del Concilio.
190720 Daniele Leoni