mercoledì 11 dicembre 2013

Il ponte del si!

Anch'io ho firmato la lettera che segue, indirizzata al Governo Italiano.

Al Presidente del Consiglio Enrico Letta
Al vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano
Al Ministro degli Esteri Emma Bonino
Al Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni
Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi
Al Ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato

Le conclusioni del recente Rapporto Svimez: “Sud a rischio povertà e deserto industriale” impongono a tutte le forze politiche dotate di senso dello Stato la rapida adozione di misure atte a prevenire l’esplosione di una crisi sociale dalle conseguenze imprevedibili. L’unica iniziativa con realistiche probabilità di avviare uno sviluppo pressoché immediato e duraturo del Paese intero e del Mezzogiorno in particolare passa attraverso la captazione dei flussi mercantili che attraversano il Mediterraneo diretti verso gli scali del Mare del Nord. Paradosso geografico conseguente all’incapacità dei Governi italiani di realizzare nel Meridione d’Italia una rete infrastrutturale adeguata alla rivoluzione trasportistica nata dalla globalizzazione.
E’ infatti ben noto che una parte rilevante della ricchezza di Olanda, Belgio e Germania trae preziosa linfa dalle attività connesse alla Logistica dei porti di Rotterdam, Anversa e Amburgo. Per non parlare del sostegno alla formidabile industria manifatturiera tedesca dovuto al flusso di materie prime e semilavorati provenienti da ogni parte del mondo. Senza soffermarci sugli innumerevoli benefici occupazionali, diretti e indiretti, e sulla riqualificazione che deriverebbe all’intero Mezzogiorno dall’avvio di un progetto di tale valenza socioeconomica, ci permettiamo di ricordare quanto è opinione comune tra i maggiori studiosi della materia: “la Logistica può rappresentare per l’Italia ciò che il petrolio è stato e continua a essere per i Paesi Arabi”. Proprio in tale ottica vanno interpretate le parole del Presidente della Repubblica, secondo il quale “l'Italia intera è destinata al declino se rinunzia alla sua vocazione mediterranea”. A favore del nord Europa, aggiungiamo noi.
Purtroppo, l’azione del precedente governo è andata in senso opposto quando, con un dispositivo di legge di dubbia costituzionalità, ha "cancellato" la Soc. Stretto di Messina, buttando alle ortiche un progetto apprezzato dall’intera comunità scientifica mondiale e violando accordi contrattuali da tempo sottoscritti. Col risultato di innescare un contenzioso miliardario e gettare sul nostro Paese un’ulteriore ombra di inaffidabilità che dissuade possibili investitori internazionali.
Ora è difficile tornare indietro ma la, pur ristretta, visione di unità e coesione territoriale che ha ispirato la costituzione della società concessionaria dell’attraversamento stabile tra Sicilia e Calabria potrebbe essere ripresa, ridefinendone le strategie e ampliandone significativamente l'ambito geografico; indicando come obiettivo finale la creazione di una rete portuale e ferroviaria moderna ed efficiente in grado di rilanciare definitivamente l’economia del Mezzogiorno.
Una rete in grado di connettere Augusta e Gioia Tauro con l’AV e l’AC ferroviarie, interrotte a Battipaglia dalla mancanza di volontà dei diversi Governi di ammodernare seriamente il tessuto infrastrutturale del Sud.
Oggi, di fronte al disastro imminente preannunziato dallo Svimez e dall’allarme lanciato da un numero crescente di economisti, non possiamo fare a meno di chiederci cosa avverrà alla chiusura dei cantieri autostradali della SA-RC, quando migliaia di lavoratori rimarranno senza lavoro.
In tempi di globalizzazione, oltre il 20% del prezzo finale di un bene deriva dal complesso delle operazioni di trasferimento dal luogo di produzione al punto di immissione sul mercato. Il tentativo di conquistare una quota più ampia possibile di questa rilevante ricchezza ha condizionato la politica economica dei Paesi europei e nordafricani e rappresenta una delle residue opportunità di sviluppo per quelli poveri di materie prime come l’Italia. Guardando ai massicci investimenti in infrastrutture strategiche delle Nazioni del bacino del Mediterraneo, si constata che l’Italia arriva per ultima in questa competizione, ma è ancora in grado di fare sentire la sua presenza grazie alla posizione geografica e al suo, ancora notevolissimo, appeal da parte degli investitori extraeuropei.
A patto di avviare senza indugio iniziative volte a recuperare il tempo perduto, offrendo ai grandi Paesi produttori soluzioni capaci di rendere più rapidi, economici e meno inquinanti i traffici mediterranei. Senza il timore di mettere in pericolo consolidati interessi europei o di porsi in concorrenza con grandiosi progetti transnazionali in via di realizzazione (FERRMED Marocco-Nordeuropa, tunnel e terzo ponte sul Bosforo, tunnel del Fehmarn Belt, ampliamento della Betuweroute dal Porto di Rotterdam verso Duisburg e tanti altri). Tutti tesi a gestire i grandi flussi containerizzati intercontinentali.
In estrema sintesi, invece di veder svanire ben più di un miliardo di euro tra costi già sostenuti e penali da pagare, relegando in un angolo di magazzino un progetto definitivo ammirato in tutto il mondo, appare essenziale recuperarli ad asset del Paese, mediante la costituzione di un prestigioso e ristretto gruppo di lavoro che - proprio basandosi sulla straordinaria eredità scientifica degli studi già eseguiti per il Ponte sullo Stretto - ne ampli gli orizzonti e le finalità, individuando, una volta per tutte, gli eccezionali benefici che possono derivare al nostro Paese dal radicale ammodernamento della rete infrastrutturale del Mezzogiorno, finalizzato all’attivazione della parte Sud del Corridoio europeo Helsinki-La Valletta, nel condiviso interesse italo-maltese. Un team di altissimo livello, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio, a costi assolutamente contenuti rispetto agli obiettivi perseguibili.
Se il risultato di tale lavoro – come siamo certi - dimostrerà senza ombra di dubbio la validità del progetto per l’intera Nazione (Nord incluso), non sarà difficile ottenere il consenso politico generalizzato indispensabile al concreto avvio di un programma nel quale il Ponte rappresenta un piccolo ma indispensabile tassello. Con la premessa che la realizzabilità tecnica e la qualità del progetto di quest’ultimo sono incontestabilmente sancite dagli appelli allegati, sottoscritti da alcuni tra i più illustri studiosi di ogni parte del mondo.
Riguardo alle legittime e decisive perplessità relative alla reperibilità delle risorse economiche necessarie, siamo certi che è possibile raccogliere facilmente un gruppo di investitori internazionali fortemente determinati a realizzare e gestire l’intero epocale intervento infrastrutturale, senza oneri per lo Stato. Tale convinzione deriva dai ripetuti contatti avuti con colossi finanziari internazionali che, in Italia come all’estero, hanno più volte ribadito un forte interesse verso la creazione di un’efficiente e completa rete trasportistica nell’estremo Sud d’Italia, condizionandolo però all’esistenza di autorevoli riscontri a livello governativo, fino ad oggi totalmente assenti. Oltre che alla realizzazione dell’intera catena trasportistica tra il Canale di Sicilia e Battipaglia, della quale ogni anello considerano indispensabile.
Restiamo in attesa di un cortese riscontro e porgiamo i migliori saluti.

8 Novembre 2013.

Enzo Siviero - Venezia Ingegnere e Architetto h.c., Prof. Ordinario di Tecnica delle Costruzioni all’Università IUAV di Venezia

Giovanni Alvaro – Reggio Calabria Ex sindacalista CGIL, blogger e Direttore Editoriale de 'Il Calcestruzzo' - Cofondatore 'Comitato Ponte Subito' - Reggio Calabria

Francesco Attaguile - Catania Direttore del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale Archimed delle isole del Mediterraneo e pres. Hub SiciliaInternazionale; già sindaco, vicesindaco e assessore al Comune di Catania

Maurizio Bernava - Palermo Segretario Generale CISL Sicilia

Giacomo Borruso - Trieste Presidente dell’Istituto per lo Studio dei Trasporti nell’integrazione Economica Europea e Direttore responsabile della rivista European Transport; già prof. Ordinario Economia dei Trasporti, Preside della Facoltà di Architettura e Rettore all’Università di Trieste,

Nicola Carnovale - Roma Segreteria Nazionale 'I Riformisti Italiani'

Michele Comparetto - Torino Architetto, coordinatore del Gruppo di Studio “Non solo Ponte”

Domenico Galatà - Messina Ingegnere, CTU presso il Tribunale di Messina; già Assistente governativo Servizio Dighe del Ministero dei LL.PP., Direttore Generale dell’Azienda Meridionale Acque Messina

Tonino Genovese - Messina Segretario Generale CISL Messina

Massimo Guarascio - Roma Ing. e Prof. Ordinario di Ingegneria e Sicurezza degli scavi, docente di Analisi del Rischio e Sicurezza del Lavoro Università La Sapienza, Roma; vicepresidente della Rete Scuole di Ingegneria del Mediterraneo

Cosimo Inferrera - Messina Prof. Ordinario di Anatomia Patologica e Citodiagnostica a. r. Università di Messina

Dario La Fauci - Messina Architetto, già Assessore all’Urbanistica del Comune di Messina, consigliere del Consorzio Autostrade Siciliane e presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina

Rocco La Valle – Villa S. Giovanni Sindaco di Villa S. Giovanni

Daniele Leoni – Ravenna Imprenditore informatico, divulgatore scientifico e già dirigenteLegambiente

Pierpaolo Maggiora - Torino Architetto

Maria Teresa Malgeri – Reggio Calabria Imprenditrice agricola

Michele Maugeri – Catania Ing. Prof. Ordinario di Geotecnica e Difesa del Territorio; già Direttore del Dipartimento di Ingegneria civile e Ambientale dell’Università di Catania

Giovanni Mollica - Messina Ingegnere e imprenditore

Francesca Moraci – Reggio Calabria Architetto, Prof. Ordinario di Urbanistica, Phd Università Mediterranea di Reggio Calabria

Giuseppe Muscolino – Messina Ing. e Prof. Ordinario di Scienza delle Costruzioni, docente di Analisi sismica delle strutture e Modellazione dinamica delle strutture presso l’Università di Messina

Agostino Nuzzolo – Roma Ing. e Prof. Ordinario di Trasporti e docente di Pianificazione dei Trasporti, Progettazione dei Sistemi di Trasporto e di Logistica Territoriale Roma Tor Vergata

Francesco Providenti - Messina Magistrato della Corte di Cassazione a r., già sindaco di Messina

Fernando Rizzo - Messina Avv. Cassazionista, specializzato in Diritto del Lavoro

Marco Santoro – Villa S. Giovanni Assessore per l’attuazione del programma e per i rapporti con l’Università al Comune di Villa S. Giovanni

Bruno S. Sergi – Messina Docente di Economia Politica e Politica Economica internazionale presso l’Università di Messina; docente di Political Economy in Russia and China presso l’Harvard University (MA) USA - Cofondatore 'Comitato Ponte Subito'

Francesco Tomasello - Messina Prof. Ordinario e Direttore Clinica Neurochirurgica della Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Messina; già preside Facoltà Medicina e Chirurgia e Rettore Università di Messina

Giuseppe Vermiglio – Messina Avv. e Prof. Ordinario a r. di Diritto dei Trasporti; già direttore del Centro Universitario di Studi sui Trasporti euromediterranei

Pierpaolo Zavettieri - Bova Marina (RC) Consigliere Provinciale di Reggio Calabria

Roberto Zucchetti - Milano Coordinatore Area Economica dei Trasporti del Centro di Economia Regionale dei Trasporti e del Turismo dell’Università Bocconi; già sindaco di Rho (MI)

venerdì 6 dicembre 2013

Domenica dobbiamo votare Matteo Renzi.

Matteo Renzi assieme al Presidente Giorgio Napolitano
Tutti dobbiamo votare per Matteo Renzi alle primarie. Anche quelli che non hanno mai votato per il Partito Democratico ma che pensano di sceglierlo se dovesse mantenere le sue promesse di riforma e avere successo. Anche quelli, come me, che hanno molte perplessità sui suoi richiami alla green economy e preferirebbero una politica industriale stile Enrico Mattei e Felice Ippolito. Anche quelli che hanno sperato che il ponte di Messina riuscisse a catalizzare il rinnovamento del sistema autostradale, ferroviario e portuale del sud Italia e sono rimasti gelati. Anche quelli che hanno accarezzato l’idea di una Cina che potesse investire su porti e ferrovie da di Napoli a Palermo, compreso il ponte sullo stretto, perché la Sicilia diventasse il collettore delle merci dell’Africa verso l’Europa; che subiscono ora lo schiaffo di Cameron entusiasta per un’analoga proposta cinese rivolta alla Gran Bretagna. Dobbiamo votare per Matteo Renzi perché, se non dovesse riuscire, si potrebbe spalancare il baratro di un’alleanza fra tutti gli estremismi e le follie da circo, di destra di sinistra, promosse da un Grillo sconclusionato e da un Berlusconi, ormai vecchio e privo di senno. Allora non ci sarebbe più spazio per i giovani studiosi e per i bravi operai che preferiscono farsi onore in officina piuttosto che urlare in piazza.
Beppe Grillo assieme ai manifestanti NOTAV
Le nostre università sarebbero invase dai girotondini, dai no-tav e la ricerca alimentare, medica, elettronica, spaziale lascerebbero il posto ai vaneggiamenti di un’economica in grado di reggersi solo con la popolazione ridotta ad un decimo. Emergerebbero le sette che vogliono la terza guerra mondiale che, come sostiene Casaleggio, rimetterebbe le cose a posto, allo stesso modo in cui, nel medio evo, l’equilibrio veniva ristabilito, di tanto in tanto, dalle stragi e dalle epidemie di peste. Allora l’Europa ci sbatterebbe l’uscio in faccia lasciandoci soccombere nella nostra follia. Matteo Renzi va preso in parola quando dice che sosterrà il Governo Letta se rispetterà il programma, che è soprattutto un programma di riforme istituzionali in senso presidenziale e della Giustizia, compreso il conflitto di interessi. E questa volta lo dovrà fare sul serio anche perché la legge elettorale Calderoli non c’è più: una volta tanto la Corte Costituzionale ne ha fatta una delle buone. Secondo me c’è lo zampino di Re Giorgio e ora Letta è solido come una roccia. Renzi, nuovo segretario del PD, dovrà lavorare sodo in coppia con il Presidente del Consiglio e sotto la supervisione del Presidente della Repubblica. I pigmei della politica si facciano da parte, non foss’altro per la figura avvilente che hanno fatto e che è sotto gli occhi di tutti. E si facciano da parte anche i magistrati che, a partire da “mani pulite”, hanno generato solo un materiale putrescente destinato a una grande fossa biologica. La prova d’errore non è stata superata e tutti noi, che abbiamo adottato il metodo sperimentale, accettiamo il risultato negativo senza rassegnarci, pronti ad una nuova prova. Io lo farò dalla casa dei socialisti, quella di Bettino Craxi, che fu colpito senza pietà per aver provato a restituire all’Italia la dignità di un Paese sovrano. Lo farò votando per Matteo Renzi e farò l’impossibile per conquistare alle idee dei socialisti e dei liberali, all’interno del Partito Democratico, lo spazio che a quelle idee compete in Italia e in Europa. 131206 Daniele Leoni

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giovedì 5 dicembre 2013

La sfida socialista

Gianni Pittella, vice Presidente del Parlamento Europeo
Bisognerebbe proprio ripartire da Gianni Pittella, medico e vice Presidente del Parlamento Europeo, per risalire la china, da socialisti liberali, nella multiforme aggregazione che si chiama Partito Democratico. Anche perché i destini dell’Italia saranno determinati da due fattori: l’identità ritrovata dei progressisti italiani nel terreno di coltura che va prendendo forma all’interno del PD e il convincimento che sarà l’Europa politica il nuovo stato federale che contenderà agli Stati Uniti d’America la leadership in occidente. Un occidente dove i partiti politici saranno sempre di più comitati elettorali. Partiti cool, come dice Renzi, preoccupati delle regole per selezionare la classe dirigente migliore possibile a cui affidare il Governo delle istituzioni. Il mandato degli eletti dovrà essere limitato nel tempo, perché la politica non è un mestiere, e perché rimanere al vertice degli organi elettivi per troppo tempo fa perdere il lume della ragione e il senso della realtà. Le riforme della Costituzione italiana dovranno ispirare la nuova Costituzione dell’Europa che troverà così l’equilibrio e l’unità politica vera nella dialettica. E il PSE sarà la casa dei socialisti italiani, espressione di una sinistra seria, colta, industriale, scientificamente curiosa, consapevole di un’umanità che presto raggiungerà gli otto miliardi uomini e di donne che non vogliono morire né in guerra, né di fame, né spegnersi per vecchiaia ma vogliono avere figli e nipoti e pensare al futuro in termini di centinaia, migliaia di anni. La notizia più bella di questi ultimi giorni è l’adesione dei senatori a vita Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo al gruppo parlamentare del PSI. Ci aiuteranno ad accettare la sfida e a pensare in grande! 131205 Daniele Leoni

Pubblicato anche da l'Avanti! come commento all'editoriale La sfida di Mauro Del Bue

sabato 30 novembre 2013

Tristezza

Tristezza perché mi ricorda Bettino Craxi
C’è stata tristezza nell’osservare la vicenda della estromissione, per via giudiziaria, di Silvio Berlusconi dal Senato. Tristezza perché mi ricorda Bettino Craxi anche se, fra i due, non c’è paragone. Però stessi carnefici: giudici “democratici” e tribunali che non esitano a condannare anche in presenza di un evidente ragionevole dubbio; non foss’altro che per l’intima convinzione di milioni di italiani in tal senso. Stessa minoranza estremista urlante con la bava alla bocca questa volta però senza lancio delle monetine perché Berlusconi è ricco e viene accusato di aver comprato, non rubato. Comprato il suo partito, i suoi sodali, i politici avversari che hanno cambiato casacca, le sue donne di letto e di festini. L’accusa vera è quella di aver comprato e corrotto senza ritegno, piegando alla sua volontà, ritenuta perversa, uomini e donne del popolo e dello Stato. Alla frode fiscale non ci crede nessuno perché Silvio Berlusconi ha sempre pagato tutti, per primi i suoi dipendenti e i suoi collaboratori. Li ha pagati anche troppo, tanto quanto nessun altro imprenditore privato riesce a fare. Che senso avrebbe avuto frodare il fisco per pochi milioni di euro quando il suo esborso fiscale è di miliardi? Però è stato condannato per una presunta frode sulla quale è stato scagionato colui che ha firmato i bilanci di Mediaset incriminati. Bettino Craxi invece venne accusato di aver rubato perché non era ricco e non poteva comprare la politica. Bettino fuggì in Tunisia perché le sue scarse risorse non gli avrebbero consentito di pagare collegi di difesa formati da principi del foro e perché il parlamento fece spallucce di fronte all’evidenza del finanziamento illecito dei partiti generalizzato. E perché gli accusatori più feroci, oltre a presentare anch’essi bilanci falsi, si macchiarono dell’aggravante di alto tradimento facendosi finanziare dal nemico. Ora dopo, vent’anni, la storia si ripete nonostante il fallimento conclamato delle purghe di Mani Pulite. Che tristezza. 131129 Daniele Leoni

Pubblicato anche da Il FOGLIO
Pubblicato anche da l'Avanti! come commento all'editoriale di Mauro Del Bue "Quando cade un avversario"

lunedì 18 novembre 2013

Il renziano De Benedetti

Giorgio Napolitano con Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera
Carlo De Benedetti ora si schiera con Matteo Renzi. La decisione, annunciata dal Corriere della sera il 13 novembre con un’intervista di Alan Friedman, ha già influenzato il messaggio pubblico dell’astro nascente della sinistra italiana. Ieri sera, a Che tempo che fa, abbiamo ascoltato un Renzi che non punta più ad un PD “cool”, snello, fresco e americano. Ha violentemente virato per un PD che non si limiterà ad eleggere i suoi al Governo delle istituzioni ma che pretenderà anche di tirare i fili dei loro comportamenti su ogni dettaglio, siano essi amministratori locali, parlamentari o ministri. Un partito, quello del novello Renzi, che ricorda il centralismo democratico e le cinghie di trasmissione dei comunisti. Un partito che pretenderà di tenere le istituzioni e la “società civile” sotto la sua cappa di piombo. E se qualcuno riuscisse a sfuggire alle maglie strette del controllo renziano, ci sarebbe sempre il primato dei giudici sui politici a rimettere le cose a posto. Del Berlusconismo vuole mantenere il lato meno edificante, quello che consiste nell’imperversare dell’informazione superficiale e pettegola funzionale al disorientamento del pubblico e non al consolidarsi di opinioni ragionate.
Matteo Renzi a Che tempo che fa.
Spero ardentemente che Matteo Renzi si accorga presto della trappola che lo aspetta perché il disegno è chiaro: governanti deboli e sotto ricatto permanente; partito d’apparato con poteri di nomina e di guida; militanti formati alla scuola di Repubblica e L’Espresso. Arbitro: Il fatto quotidiano. Spauracchio: il tintinnio di manette. Il burattinaio, sarà comunque lui, Carlo De Benedetti, che non scende in campo direttamente anche perché non è cittadino italiano. Le parole di Marco Tronchetti Provera, presidente della Pirelli verso il nostro apprendista burattinaio, riportate dai giornali mentre andava in onda la fiction televisiva su Adriano Olivetti, la dicono lunga sul dato della doppia cittadinanza: “E' evidente che io e l'ingegner De Benedetti non parliamo la stessa lingua, come e' normale possa succedere tra un cittadino italiano e un cittadino svizzero…” Non è nemmeno chiaro dove De Benedetti paghi le tasse, anche se lui dichiara di aver mantenuto la residenza fiscale in Italia. O se le paghi proprio tutte. Per esempio, l’anno scorso, la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha condannato il Gruppo Editoriale L’Espresso ad un multa di 225 milioni di euro per un’evasione fiscale risalente al 1991. Ma la notizia è passata in sordina. Ne parlò solo Il Fatto quotidiano, una volta sola, poi più nulla. E’ proverbiale la capacità di Carlo De Benedetti di lanciare il sasso e nascondere la mano. In vita sua ha sempre comprato quote, sfruttato amicizie, occupato poltrone. Presidente degli industriali, amministratore delegato della Fiat dove venne cacciato, poi dell’Olivetti che, con la sua dabbenaggine, riuscì a distruggere: questo secondo Tronchetti Provera, e non solo. Fu anche vice presidente del Banco Ambrosiano nel periodo della morte di Roberto Calvi, impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. Quel De Benedetti che, con la complicità di Romano Prodi, tentò lo scippo della SME, il gioiello dell’Iri, scippo sventato da Bettino Craxi nel 1985. Due anni dopo tentò la scalata a Mondadori, contrastata da Silvio Berlusconi, che finì col ben noto “lodo” cioè la spartizione di Repubblica e l’Espresso che rimasero a De Benedetti, Panorama e Mondadori a Berlusconi. Infine tangentopoli con lo strascico di veleni e di lutti, dove si dichiarò colpevole di aver pagato tangenti, per dieci miliardi di lire, ma ricevette un trattamento di favore: solo un giorno di arresti, poi libero e scagionato. E’ stata l’abilità tipica di chi antepone la finanziaria al risultato industriale. Finissimo fabbricante di trappole che catturano ricchezza a spese della collettività senza produrre nulla di tangibile in cambio. Non una grattacielo, non un ponte, non una fabbrica, non una rete informatica, non una macchina capace di vincere e nemmeno una squadra sportiva per far sognare. Ecco perché lui è cittadino svizzero: perché non ha niente dell’ingegno italiano che disegna, che progetta, che inventa e che costruisce. Il primo risultato della strana alleanza con Matteo Renzi sarà, secondo quanto riportano i giornali, l’uscita dal Governo di un Ministro molto bravo, il Ministro della giustizia, che ha lavorato parecchio in questi pochi mesi di attività. Forse ha lavorato troppo e ha dato fastidio a qualcuno. Anna Maria Cancellieri vorrebbe andarsene: allora si sta pensando ad una avvicendamento che garantisca la continuità del suo lavoro. Perché tra le qualità del Ministro ce n’è una molto rara: quella di non considerasi insostituibile. Quel che conta è la squadra. La squadra e il progetto per smantellare l’oligarchia che vorrebbe la politica e la giustizia al proprio servizio. 131118 Daniele Leoni

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Il Calcestruzzo

domenica 10 novembre 2013

Segnali di fumo

Una torre del telegrafo Chappe
La bella fotografa lasciò la bambola e la foto sul sedile della macchina. Era il messaggio cifrato per chiedere ad Adriano un appuntamento segreto. Il luogo era quello della foto, in campagna dove lei cadde col paracadute e fu aiutata a fuggire dai nazisti. Solo Adriano poteva associare la bambola, comprata in una bancarella a Pozzuoli, dove sarebbe sorto il nuovo stabilimento Olivetti, con la persona e il luogo dell’incontro. Nessun biglietto. Scrivere qualsiasi cosa sarebbe stato pericoloso. “Le ho chiesto di venire qui perché, qui, nessuno ci può ascoltare. Lei è una grande persona e questo non era previsto. Deve stare molto attento: gliela faranno pagare. Interverranno pesantemente contro la Olivetti, sia a livello politico che economico ...” E’ una delle drammatiche scene finali della fiction televisiva su Adriano Olivetti che, di li a poco, sarebbe morto per un malore, in treno, diretto a Losanna. Una tragica coincidenza o l’effetto di un veleno fatale che non lascia tracce? Ho già scritto che le vicende legate alla spia dei servizi americani sono pura fantasia. Sono una licenza poetica che però sostiene tutta la storia e rende bene l’idea di quale fosse il clima, nell’Italia del boom economico e in piena guerra fredda. Ci fa anche capire che lo spionaggio e le intercettazioni non sono una novità ma hanno sempre unito, in ogni epoca, le tecnologie più sofisticate, l’ingegno e la perfidia. Hanno anche ispirato i romanzi e dei romanzi sono stati il contrappunto. Mi ricordo Il conte di Montecristo, di Alexandre Dumas, dove il protagonista corrompe un operatore del telegrafo ottico Chappe per fargli trasmettere un messaggio falso. La notizia fasulla informava che Don Carlo era fuggito da Bourges ed era rientrato in Spagna. La fuga avrebbe fatto crollare il valore dei titoli del prestito spagnolo. Il finanziere Danglars, nemico di Edmond Dantes, vendette sottocosto tutti i titoli in suo possesso. Il giorno dopo i giornali scrissero che, per colpa della nebbia, un segnale telegrafico era stato frainteso così da diffondere la falsa notizia. I titoli ritornarono subito al loro prezzo ma Danglars perse più di un milione di franchi. La vicenda narrata da Dumas è del 1838. In quegli anni, dall’altra parte dell’oceano, Samuel Morse inventava il telegrafo elettrico che, in pochi anni, avrebbe mandato in pensione migliaia di operatori Chappe, ognuno con la sua torre. E resa inutile la loro singolare abilità di leggere le aste snodate che danzavano tutto il giorno su una torre lontana, di replicarne forma e configurazione in favore dell’operatore della torre successiva. La danza delle aste snodate conteneva messaggi in codice il cui significato non era noto agli operatori lungo la linea, ma solo agli addetti della stazione ricevente e trasmittente distanti centinaia di chilometri. Erano perlopiù comandi militari che trasmettevano informazioni al quartier generale e ricevevano ordini con codifiche che variavano frequentemente per adattarsi al mutare delle esigenze e per ragioni di sicurezza. Il telegrafo ottico nacque in Francia alle fine del 1700 ed ebbe una notevole diffusione in Europa per merito di Napoleone Bonaparte. Contribuì a far crescere la cultura dei messaggi teletrasmessi e della loro codifica su cui si innesto facilmente il più sicuro telegrafo elettrico che si diffuse a partire dal 1850.
Elea 9000 Olivetti in una foto del 1960. Fu il primo al mondo a semiconduttori.
Con il 1900 arrivò la radio e la telegrafia senza fili e, dopo un altro mezzo secolo, il primo calcolatore elettronico. Gli antenati della corsa alla digitalizzazione e alla tele-trasmissione di volumi sempre più consistenti di dati sono i segnali di fumo degli indiani d’America e i tam-tam africani. Come per i segnali di fumo, la caratteristica dei dati digitali è quella di essere visibile o udibile da tutti. Il telegrafo ottico poteva essere osservato da chiunque. Le trasmissioni del telegrafo elettrico e del telefono dovevano essere duplicate, amplificate, smistate, quindi facilmente intercettate. Idem per le trasmissioni radio e televisive. I pacchetti di bit della rete internet e dell’universo odierno delle telecomunicazioni hanno la stessa caratteristica. Ciò che li rende non immediatamente intellegibili da chiunque è la loro codifica.
Il monitor a pulsanti di Olivetti Elea 9003
Ma un codice, per quanto furbo possa essere, è sempre una sequenza di combinazioni logiche svelabile con una serie di tentativi: dipende dal tempo e dalla velocità di calcolo. L’unico modo per proteggere la comunicazione fra due o più punti è condividere una sequenza di chiavi che cambino, in modo sincrono, per esempio ogni secondo. Così non si da il tempo agli spioni di decodificare il segnale. I comandi militari e i servizi segreti, lo fanno. Anche il Presidente degli Stati Uniti, a cui è stato aggiornato, di recente, il BlackBerry. Ma per noi, comuni mortali, è troppo complesso oltre che costoso. Ci dobbiamo rassegnare alla possibilità di essere permanentemente sotto osservazione e a tenere un comportamento conseguente. Ci deve consolare che nessuno è interessato a quello che facciamo nella vita di tutti i giorni, escluse le nostre preferenze che orienteranno le offerte commerciali. A meno che non commettiamo dei reati. Se però dobbiamo condividere un gran segreto o abbiamo fatto una scoperta straordinaria di eccezionale valore, dobbiamo parlarne solo a quattr’occhi, non al telefono. E nemmeno mandare un’email. Se è un segreto può rimanere tale. Se invece è un’idea commerciale o un trovato tecnologico tuteliamoci in fretta con un brevetto e facciamo presto a metterlo in pratica. Anche in questo caso il tempo è determinante come la nostra capacità di elaborazione e di realizzazione. 131110 Daniele Leoni

Pubblicato anche da: Il Calcestruzzo

sabato 2 novembre 2013

Fondamentalisti, inquisitori della peggior specie!

Lo screen shot della discussione su facebook.
Si chiama Claudio Pace. E’ uno degli amici del mio profilo Facebook che è molto selettivo, uno di quegli amici che mi consente di essere cittadino del mondo davanti alla tastiera. Di mestiere fa l’auditor a Terni agli Acciai Speciali, valuta cioè la qualità sulla base delle specifiche concordate col committente. E’ uno di quelli che decide se l’acciaio può essere destinato al nocciolo di un reattore nucleare oppure se va bene solo per i coltelli da cucina. Ebbene Claudio ha partecipato, su Facebook, a una discussione che si è scatenata ieri fra me, il Senatore Enrico Buemi e il nostro Direttore dell’Avanti! Mauro Del Bue. L’argomento era Matteo Renzi e il fatto che abbia o non abbia la “bava alla bocca” come buona parte dei militanti del PD. Io sono uno dei tanti ex elettori di Berlusconi, socialista quando c’era il PSI di Bettino Craxi, orfano che aderì a Forza Italia nel 1994, che restituì indignato la tessera nel 2005 quando venne emanata la legge Calderoli “porcellum”. La candidatura di Matteo Renzi alla segreteria del PD mi ha aperto il cuore. Ho partecipato alle ultime primarie per votarlo e mi sono riavvicinato al PSI per influenzarlo con un messaggio socialista liberale. Ieri però è arrivato un tweet di Antonio Funiciello, renziano, membro della segretaria nazionale del PD, responsabile per la cultura e le comunicazioni. Questo è il tweet: “Il ministro Idem impiegò 10 giorni a dimettersi. Alfano 10 giorni per non dimettersi. Vediamo quale record batterà il ministro Cancellieri.” Mi ha gelato il sangue. Ho subito risposto, su Facebook, ai miei illustri interlocutori “Se Renzi dovesse schierarsi fra manettari contro la Cancellieri per far cadere il governo Letta, vuol dire che anche lui ha la bava alla bocca. Allora, in caso di elezioni anticipate, non resterebbe che votare Berlusconi! Non è così che Berlusconi vince le elezioni?” Claudio Pace ha concluso: “Durante la campagna elettorale ho partecipato ad un incontro a Roma in cui era presente Giulio Tremonti il quale profetizzò che questa legislatura non sarebbe durata molto, forse nemmeno un anno. Vediamo se fu profeta. Renzi recentemente ha cambiato tutto, da rottamatore foriero di novità e liberista è andato a cercare tutti perfino il sindaco Orlando di Palermo, uno degli assassini politici della prima repubblica che adesso tanti rimpiangono. Cosa voglia fare da grande Renzi non si è ancora capito, non si capisce al di là degli slogan e delle simpatie, che attira sempre meno, quale è la linea politica che intende perseguire…”
Questa mattina, dopo averci dormito sopra, di buon'ora, ho tempestato di tweet, email, sms tutti coloro che potevano mettere sull'avviso Matteo Renzi, che così non va. Che il suo sodale, Antonio Funicello, non ha fatto solo una leggerezza ma ha scritto un'enormità degna dei fondamentalisti inquisitori della peggior specie. Se il comportamento di Renzi sarà quello paventato dai miei amici allora, purtroppo,  resterò orfano e, per la prima volta in vita mia, non andrò a votare.
131102 Daniele Leoni

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venerdì 1 novembre 2013

Non credo in Dio ma Dio lo scrivo con la lettera maiuscola.

Papa Francesco accenna il baciamano a Rania di Giordania
Mi piacerebbe molto che l’Italia trovasse la sua strada a partire dalla sua costituzione fondata sul lavoro. Che sapesse, con equilibrio, percorrere tutti i passaggi delle modifiche per migliorarla e adattarla alle mutate esigenze della società che cambia. Che trovasse un accordo, almeno sulle regole di base. Purtroppo c’è stata una lacerazione profonda che prese le mosse dal colpo che venne inferto all’Italia, nei primi anni 60, perché la sua economia correva troppo. Non si sa se furono i servizi segreti americani a farlo direttamente oppure se lasciarono fare i colossi multinazionali della nascente elettronica e del petrolio che si avvalsero, senza pudore, della criminalità organizzata. In quegli anni Mosca eresse il muro di Berlino e inondò di rubli il Partito Comunista Italiano.
Enrico Mattei e Giorgio La Pira
Ma Palmiro Togliatti, che andava maturando idee socialdemocratiche, dopo aver promosso l’amnistia, disarmato i partigiani, impedito la sommossa popolare a seguito dell’attentato, morì a Jalta mentre stava elaborando i famoso memoriale. Il flusso di rubli non si interruppe ed Enrico Berlinguer, che non era Togliatti, non riuscì ad impedire il terrorismo politico delle brigate rosse. Poi arrivo Bettino Craxi che si difese a gomitate dalle ingerenze straniere ma fu castigato. Inventarono tangentopoli per eliminarlo. Nessuno si chiese allora, come non si chiede oggi, se attingere a man bassa a finanziamenti sovietici, in piena guerra fredda, fosse o non fosse alto tradimento. Silvio Berlusconi fu la risposta. Però in Italia aveva attecchito una casta di burocrati generata dai rubli di Bresnev, casta che era emanazione dell’ex Partito Comunista, annidata nei gangli vitali della società italiana, che si autoalimentava. La magistratura, culturalmente affine a quella casta, si scagliò contro Berlusconi per eliminarlo.
L’ingresso di Berlusconi in politica fu una anomalia provocata dalla sconfitta, per mano giudiziaria, dei socialisti e di Bettino Craxi. Una anomalia accentuata dalla legge Calderoli del 21 dicembre 2005 che ha modificato il sistema elettorale italiano e ha delineato la disciplina attualmente in vigore. Una disciplina di guerra. Una ulteriore lacerazione! Un colpo basso alla democrazia che servì a consolidare due caste contrapposte: quella generata dai rubli sovietici e quella alimentata, vent’anni dopo, dal patrimonio personale di Berlusconi. Ecco perché continuiamo a essere in guerra. E’ una guerra senza esclusione di colpi dove le regole non esistono più e il Paese soccombe con la sua economia, la sua industria, le sue infrastrutture come sotto un bombardamento.
Matteo Renzi candidato segretario del PD
Per questo motivo abbiamo bisogno di Matteo Renzi al vertice del PD. Perché è l’unico che riesce, in questo clima, a riempire le piazze con folle che non hanno la bava alla bocca e lo fa senza sponsorizzazioni private ma con un finanziamento volontario diffuso. Renzi sta costruendo l’unico vero elemento di discontinuità potente in grado di fermare una guerra che dura da cinquant’anni. Se è la legge elettorale dei sindaci che ha le condizioni di passare, ebbene che passi la legge dei sindaci. Io non sono d’accordo con Renzi su mille cose però rispetto il suo stile e lo spirito di chi lo segue. L’alternativa è che questa guerra finisca con la bomba di Hiroshima. Non credo in Dio ma Dio lo scrivo con la lettera maiuscola. Lo faccio per rispetto dei tre quarti dell’umanità che professa una fede e, pur avendo l’assoluta certezza di avere ragione, metto nel conto che questa mia assoluta certezza possa essere confutata. Non ho l’assoluta certezza che il sistema maggioritario bipolare sia il migliore possibile però mi intriga molto l’escamotage statunitense dei due partiti, dei matti fuori legge, del presidente con poteri immensi ma con un drastico limite temporale al suo mandato. Dei giudici eletti e non selezionati per concorso. E’ un sistema che regge e fa, di quella americana, la più vecchia e longeva democrazia del mondo. 131101 Daniele Leoni

mercoledì 30 ottobre 2013

Adriano Olivetti: che la forza sia con noi!

La CIA riunita per decidere sul destino di Adriano Olivetti (Rai Fiction)
Gli spioni americani, impersonati da una bella fotografa, ufficiale dell’aeronautica americana, salvata da Adriano Olivetti durante la guerra, fanno parte di una licenza poetica che gli autori di Rai Fiction si sono concessi. Per il resto “La forza di un sogno” è una storia tutta vera. Sono veri gli ideali, il background culturale, la competenza tecnica, il coraggio e i sentimenti che il bravo regista Michele Soavi è riuscito a trasmettere al pubblico. Sono veri anche i nemici di Adriano cioè le caste finanziarie e i poteri consolidati che vivono di rendita, siano essi italiani o stranieri, siano essi pubblici o privati. Che cosa fece paura dell’azione di Adriano a questi nemici? Senza dubbio la capacità di generare un’impresa con un margine primario enorme dovuto all’innovazione spinta delle tecniche produttive e al coinvolgimento affettivo ed emotivo alla fabbrica delle maestranze. Senza dubbio la capacità di destinare quel margine a finalità sociali, per elevare ad altezze impensabili la qualità della vita di tutto lo staff, che crebbe nel numero fino a decine di migliaia di lavoratori. Infine la capacità di utilizzare la felicità dei suoi dipendenti come motore per la qualità del prodotto e moltiplicatore dell’efficienza produttiva. Adriano Olivetti non fu un freddo amministratore di interessi di famiglia, di quegli interessi che spesso degenerano nell’avidità e, alla lunga, danneggiano anche le migliori intuizioni imprenditoriali.
Adriano (Luca Zingaretti) decide l'ok definitivo al calcolatore Elea (Rai Fiction)
Era molto ambizioso, di un’ambizione smisurata, tanto che per lui contavano poco le decine di case, di barche, di aerei privati, di escort da esibire alle feste milionarie, di cui molti imprenditori stranieri e nostrani amano circondarsi. Lui voleva di più, voleva il cuore e l’anima dei suoi. E a quel cuore e a quell’anima era capace di adattarsi. Scriveva con la penna stilografica ma i suoi fabbricavano le macchine per scrivere più belle ed efficienti del mondo. Amava l’arte, la filosofia, le scienze umane eppure era ingegnere e accettò di investire per costruire Elea, il primo calcolatore a transistor del mondo. Lo fece con il conforto di Enrico Fermi e con la collaborazione dell’ingegnere, di origine cinese, Mario Tchou che, nel 1961, morì in un incidente stradale, all’età di 37 anni, mentre si recava in Olivetti. Morì esattamente un anno dopo Adriano che fu colpito da un malore in treno. Furono troppi gli incidenti in quel periodo, troppe coincidenze. Quello più eclatante uccise Enrico Mattei che precipitò col suo aereo, nel 1962, vicino a Pavia. La licenza poetica del rocambolesco complotto CIA, che fa da contrappunto al romanzo in due puntate trasmesso da Rai Uno, è il messaggio, non tanto cifrato, che gli autori consegnano al popolo italiano. Non fu spiato e combattuto perché era socialista, amico di Filippo Turati che contribuì a liberare assieme a Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini e per questo fu costretto a fuggire in Svizzera durante gli anni della guerra. Fu spiato e combattuto perché era straordinariamente bravo, capace di farsi amare. E far amare la sua fabbrica tanto da generare un margine primario del mille per cento sui prodotti di punta, come le calcolatrici meccaniche. Se avesse trasferito questa capacità sull’elettronica, dove il costo della materia prima è irrisorio, oppure sull’informatica, dove il costo è zero? Dove gli unici investimenti sono umani, di intelligenza, creatività, intuizione? Tutte qualità per le quali il popolo italiano ha primeggiato nel corso dei secoli e fatto scuola al modo. Eccolo il messaggio che mette in primo piano il fattore umano disatteso, nel corso dei decenni successivi, dai Valetta, Agnelli, De Benedetti, Cuccia, Romiti … L’elenco potrebbe essere lunghissimo. Poiché il romanzo storico, che oggi chiamiamo fiction, è mille volte più efficace sull’immaginario collettivo che non l’esposizione asettica e rigorosa della vicenda, il successo di “Adriano Olivetti: la forza di un sogno” potrebbe scuotere questo nostro Paese dal torpore. Come lo fecero, a partire dal 1964, i romanzi di Cronin sceneggiati dalla giovane televisione. Come La Cittadella, col grande Alberto Lupo, con le miniere della rivoluzione industriale inglese, le lotte dei lavoratori e anche i primi barlumi di evoluzione, in senso sociale, dell’impresa. 131030 Daniele Leoni

Pubblicato dall'Avanti!
Pubblicato da Il Calcestruzzo

lunedì 28 ottobre 2013

Nessuna congiura, solo politici “dabbene” e un’Italia addormentata.

Il mio intervento pubblicato da LsBolg.it
LsBlog, il seguitissimo giornale online, ha pubblicato il mio intervento su Porta a Porta e il sogno di Adriano Olivetti. Lo ha fatto con un commento del suo direttore Marco Cavallotti. Scrive Cavallotti: “Olivetti rappresentò certamente un momento molto interessante della storia industriale del nostro dopoguerra. E tuttavia, non credo che si faccia un buon servizio alla storia del nostro paese adottando, come avviene troppo spesso, il sistema interpretativo “della congiura”. Tutto quello che in Italia va male, va male per colpa di forze occulte ed avverse, altrimenti chissà come staremmo bene... La concorrenza industriale è certamente un elemento fondamentale nel valutare la parabola della Olivetti. Ma concorrenza c'era anche con Adriano Olivetti in vita, eppure l'Olivetti continuava a crescere ed a mietere successi in Italia e all'estero. Fu dopo la sua morte che il declino cominciò assai rapidamente: mi parrebbe il caso di chiedersi se la nidiata di manager “nuovi” cresciuti in Olivetti fosse all'altezza della situazione, o se non mancasse di quella cultura imprenditoriale e industriale che aveva consentito ad Adriano le sue politiche di stampo “umanistico” senza per questo frenare l'impulso di crescita propriamente industriale ed economica. Se in sostanza i signori in questione non fossero più intellettuali – magari con qualche esagerazione – che imprenditori. Ovvio che tutti, con una voce sola, preferiscano oggi optare per l'ipotesi della congiura e del fato avverso. Stimo e apprezzo spesso i commenti di Sapelli: ma da storico qual è, lui per primo dovrebbe sapere che bisognerebbe esibire qualche documento, prima di invocare la tesi della congiura. E a questa distanza di tempo, i documenti e le prove dovrebbero cominciare a saltar fuori. Credo poi che si sottovaluti il ruolo svolto da forze politico-sindacali e imprenditoriali tutte italiane: e forse la rilettura delle tesi ufficiali dei sindacati di allora (e forse anche quelle di oggi) potrebbe costituire un buon avvio. Parole come “cogestione” provocavano brividi di odio e di orrore... La concorrenza internazionale c'è sempre stata e ci sarà sempre. Il problema sta nel saperla contrastare e magari anche vincere, senza considerarla una congiura a nostro danno. È, più semplicemente, una guerra combattuta con altri mezzi.”
Così Marco Cavallotti. Non potevo non rispondere, allora ho replicato.
Enrico Mattei partigiano
"Caro Marco Cavallotti, sono d’accordo che il sistema interpretativo della congiura non è un metodo che funzioni per l’analisi storica. Però i fatti sono fatti. La mia è solo una riflessione su quello che avvenne dopo la scomparsa di Adriano Olivetti e un resoconto ragionato della trasmissione Porta a porta di mercoledì 23 ottobre. Ringrazio LsBlog per lo spazio che mi ha dedicato e non vorrei approfittarne. Adriano Olivetti , nel 1960, con la sua scomparsa, lasciò una voragine nell’Italia dell’ultimo rinascimento, quello del boom economico dopo la ricostruzione. Nella voragine si inserirono forze economiche potenti abituate al gioco sporco. Così l’assassinio di Enrico Mattei del 1962 sortì il risultato della demolizione della cultura industriale che accomunava Mattei e Olivetti. Mattei era anche erede e braccio armato di Alcide De Gasperi nell’economia della ricostruzione. Un uomo che non si fermò nemmeno un attimo dopo la morte, nel 1954, del padre culturale e politico. Un altro padre della Patria morì prematuramente in quei primi anni sessanta, anch’egli in modo inaspettato e improvviso, nel 1964, esattamente dieci anni dopo la scomparsa del suo grande avversario politico.
Palmiro Togliatti assieme a Nilde Jotti negli anni 50
Era Palmiro Togliatti, il comunista che salvò l’Italia dal comunismo! Venne aperta un’altra voragine. Felice Ippolito, comunista, braccio armato di Togliatti nell’economia, alter ego di Mattei nel comparto nucleare, attivo col suo CNEN anche nella ricerca mineraria di uranio all’estero, analogamente all’ENI per la ricerca petrolifera, venne sbattuto in galera con una scusa! Senza Togliatti a difenderlo, venne condannato alla velocità del fulmine, al 11 anni di carcere. Ne scontò due poi fu graziato dal Presidente Saragat. Riabilitato, Nel 1968 fondò e diresse la rivista Le Scienze, versione italiana di Scientific American. Eletto al Parlamento Europeo nelle liste del PCI vi rimase fino al 1989. Ma per il nucleare italiano fu la fine. Romano Prodi scriveva il 28 febbraio 2010 su Il Messaggero: “Io sono stato fra i pochi che hanno votato a favore del nucleare. L’ho fatto in piena coscienza, per la convinzione che un Paese come l’Italia non potesse e non dovesse uscire da un settore in cui aveva investito tante risorse e in cui, tramite migliaia di tecnici e scienziati, aveva accumulato un’esperienza e posizioni di eccellenza invidiate nel mondo. Di tutto ciò è rimasto poco o nulla. Non abbiamo più, checché se ne dica, un’industria capace di costruire una centrale. Abbiamo smantellato la più parte delle scuole specializzate in materia di tecnologie nucleari e gli studenti di ingegneria nucleare sono ridotti a poche decine in tutto il Paese. Per decenni infatti non avevano alcuna possibilità di trovare un lavoro in questo campo in Italia. Abbiamo infine cancellato tutte le strutture pubbliche deputate a controllare la sicurezza, dato che l’ultima licenza concessa risale al 1971 e non abbiamo più le competenze nelle istituzioni responsabili per le licenze e le procedure di costruzione. Abbiamo, in sintesi, distrutto quasi tutto il sapere scientifico, gestionale, industriale e istituzionale necessari per costruire una filiera nucleare.” La stessa cosa, secondo la filosofia di Romano Prodi, la si potrebbe dire per la chimica, l’elettronica, la siderurgia , l’industria alimentare e anche per le infrastrutture. Che bell’esempio d’insipienza e di faccia tosta da parte di chi è stato uno dei primi responsabili del declino italiano! Le testimonianze di Ferrarotti, Sapelli e Della Valle a Porta a Porta hanno messo l’accento sulla voragine che è politica, culturale, giudiziaria prima che economica. Lo hanno fatto di fronte a milioni di telespettatori. Seguirà la fiction con Luca Zingaretti che scuoterà il popolo italiano da un torpore durato cinquant’anni. Almeno spero."
Nemmeno il tempo di postare e la risposta di Cavallotti è già arrivata.
Carlo De Benedetti che preferì sempre la finanza all'eccellenza del prodotto.
“Giusto, gentile Daniele Leoni, i fatti sono fatti, e la storia è un'altra cosa. Ripeto, bisognerebbe capire quali sono le cause di tutti questi fallimenti. E passi per la morte di Mattei, sulla quale grava un sospetto di attentato che non so se mai si trasformerà in certezza. Il mondo delle risorse energetiche è a volte spietato, e anche un assassinio potrebbe starci. Ma tutto il resto, confermo, mi pare più frutto di scarsa capacità imprenditoriale o di guerriglia interna e nazionale – una guerriglia che non si è mai fermata – che di un disegno delle multinazionali o dei Paesi che “progettano la divisione del lavoro” (progetto che se c'è sta in piedi con la collaborazione di ogni paese...). Quello che lei chiama padre della patria – Togliatti, al quale io invece attribuirei la gravissima responsabilità di aver proseguito la battaglia contro la socialdemocrazia e di aver così perpetuato il ritardo nella sinistra italiana iniziato nel 1921 con la scissione di Livorno e la nascita del Pci – può ben essere annoverato tra coloro che si batterono contro quei criteri di cogestione – così socialdemocratici, stavo per scrivere “socialfascisti”, come dicevano lui e i suoi amici – che avrebbero costituito una delle forze propulsive del capitalismo tedesco. Ma su di lui e sui suoi rapporti con gli Italiani basterebbe ricordare le luminose esperienze all'Hotel Lux... Può darsi benissimo, e i documenti non dovrebbero mancare, che guerra contro Ippolito si possa collocare nello scontro sordo fra democristiani e comunisti. Ma la guerra contro Ippolito si trasformò presto in una guerra ideologica contro il nucleare che coinvolse buona parte degli Italiani, in una visione pauperista, arcadica e alla lunga suicida del loro futuro. E allora, a meno di ritenere che siano stati gli Italiani a congiurare contro se stessi, i conti dovrebbero essere fatti con un mondo e una cultura tutti nostri, anche se certo in tutto questo qualcuno che ci ha guadagnato c'è certamente, e non sono gli Italiani. Tornando alla Olivetti, inviterei gli storici di professione a dedicarsi – come del resto fanno – ad analizzare la cultura industriale e lo spirito imprenditoriale degli eredi di Adriano: il quale amava circondarsi, più che di capitani di industria magari un po' rozzi, ma attivi e dinamici, e a volte perfino aggressivi, di intellettuali senza grande competenza specifica né di tipo tecnico, né di tipo manageriale. Come accennava Ursus, le scelte produttive dell'Olivetti fra gli anni '70 e '80 costituirono una serie gravissima di errori, e un segno altrettanto grave di miopia sul futuro di quel settore industriale: magari favorita dai sempre più insensati aiuti di stato, forniti nel modo peggiore, ossia acquistando attrezzature nate obsolete e spesso mai utilizzate. Tutti errori che Olivetti non avrebbe fatto, perché oltre che dotato di una nuova visione delle relazioni industriali, aveva anche un solido spirito imprenditoriale. Grazie comunque per aver aperto una discussione interessante: per queste c'è sempre spazio su LSBlog, come ce n'era sempre su Il Legno Storto.”
Accetto l’invito. Alla prossima allora caro Marco Cavallotti. Adesso vediamo la Fiction Rai di Zingaretti che, sono sicuro, avrà l’impatto sull’immaginario collettivo italiano paragonabile a ”La cittadella” di Cronin interpretata, per la televisione italiana, dal grande Alberto Lupo nel 1964. 131028 Daniele Leoni

giovedì 24 ottobre 2013

“Porta a porta” e il sogno di Adriano Olivetti

L'Olivetti P101 adottato dalla NASA per lo sbarco sulla luna
“E’ la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente!” – Ed Hutchinson, giornalista idealista del film “L’ultima minaccia”, coperto dal frastuono delle rotative, urlava al mafioso che voleva comprare la sua libertà. La frase è rimasta nell’immaginario collettivo per simboleggiare la forza immensa delle idee positive, propulsive e libere. Non c’è ricatto, corruzione, delitto o minaccia che possa sconfiggere, alla lunga, quelle idee. E’ il ticchettio della macchina per scrivere che fa da contrappunto alla storia meravigliosa di Adriano Olivetti che, da Ivrea, negli anni Cinquanta conquistò la leadership del mercato mondiale dell’office automation, portando la sua fabbrica ad impegnare 32mila persone. Fu primo, per efficienza produttiva e per qualità della vita dei suoi dipendenti, qualità che si trasferiva, come per magia, nella qualità del prodotto. Un margine primario enorme gli dava la possibilità di fare enormi investimenti. Partì con una piccola industria che, in poco più di dieci anni, diventò immensa. Proprio mentre stava lavorando al passaggio dalla meccanica verso la nascente elettronica, fu stroncato da morte improvvisa e inaspettata, all’età di 59 anni, il 27 febbraio 1960. La sua scuola e la sua eredità mantennero l’Olivetti di Ivrea a livelli di leadership per un decennio ma, subito dopo la sua morte, la crescita rallentò fino ad imboccare un inesorabile declino. “Fu colpa della divisione internazionale del mercato del lavoro che non poteva consentire all’Olivetti il primato nell’elettronica e nei computer”, ha detto l’economista Giulio Sapelli a “Porta a Porta” di fronte ad uno sconcertato Bruno Vespa e a un vulcanico Franco Ferrarotti, il sociologo che, di Adriano Olivetti, fu amico e collaboratore fin dal 1945. Anche se la forza delle intuizioni poteva vincere il dispiegamento immenso di risorse messo in campo dall’americana dell’IBM, “l’Italia era destinata a diventare una potenza industriale di serie B, e non di serie A come stava facendo negli anni Cinquanta con l’Olivetti. Nel settore petrolchimico con Enrico Mattei e nel comparto nucleare con Felice Ippolito. In quegli stessi anni qualcuno pensò di fermare l’Eni assassinando Enrico Mattei, e la filiera nucleare italiana incarcerando Felice Ippolito, con una scusa.” Intanto Adriano Olivetti era già passato a miglior vita. Franco Ferrarotti condivide l’opinione di Sapelli confermata “da quanto riuscii a capire – dice – nei miei frequenti viaggi negli Stati Uniti. Non era un sogno quello di Adriano Olivetti, ma un progetto razionale. Lui aveva capito l’enorme potenzialità dell’elettronica applicata. Morto lui però cessarono i nostri investimenti in quel settore. Poi ci fu un veto politico americano preciso accettato dalla nostra classe politica”.
Questo articolo, il primo della mia collaborazione con l'Avanti!
In Olivetti, come nell’Eni dopo la morte di Mattei, si tese a cancellare la memoria e la scuola impressa al gruppo dirigente. “Ci fu, nel periodo di Carlo De Benedetti, una oscillazione. Non c’era una visione chiara della strategia. Vennero fatti forti investimenti in Belgio. Se quei capitali fossero stati impiegati in Italia nell’elettronica le cose sarebbero andate diversamente. Vennero inferte anche delle ferite alla nostra identità. Si decise, in quegli anni, di mandare al macero la biblioteca Olivetti”. “Ma perché questo disastro?”, chiede sconcertato Bruno Vespa. “Perché si voleva cancellare la memoria di Adriano Olivetti” risponde Ferrarotti. Diego Della Valle spiega che vi è una categoria di imprenditori e di manager, quelli che preferiscono manovrare il denaro piuttosto che pensare alla miglior produzione possibile, che sono allergici alla creatività del fare. Quindi si aggiunsero, ai dictat internazionali, anche forti resistenze interne. ”Porta a Porta” non ha avuto la possibilità di andare avanti nel tempo, fino agli anni Ottanta di Bettino Craxi, e alla pesante situazione che dovette ereditare, non ultime le ipoteche straniere alla nostra sovranità nazionale. E avanti ancora, fino al castigo che fu inferto a Bettino per non aver voluto soggiacere a condizioni che condannavano l’Italia alla serie B. Che oggi, dopo cinquant’anni, si dica finalmente la verità di fronte a milioni di telespettatori è un buon segno. Lunedì e martedì ci godremo il film sulla storia di Adriano Olivetti “Il sogno Italiano”, con Luca Zingaretti nei panni di Adriano e Francesca Cavallin nei panni della moglie Paola. Il film e il romanzo hanno un impatto mille volte superiore sul pubblico che non una asettica narrazione storica. Anche questa “E’ la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente!”
131024 Daniele Leoni

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lunedì 21 ottobre 2013

Silvio Scaglia ha vinto. Ha vinto l'Italia del fare!

L'imprenditore Silvio Scaglia assolto con formula piena da tutte le accuse.
In tempi non sospetti quando, in Italia, non solo i Pm aguzzini ma anche tanti giornalisti ammalati d'invidia pruriginosa godevano per la pena preventiva inflitta ad un imprenditore, presunto untore miliardario, scrivevo queste righe che sono rimaste fra le mie note su Facebook. https://www.facebook.com/notes/daniele-leoni/silvio-scaglia-in-carcere-per-la-superbia-di-essere-italiano/10150162932360076
Era il 10 maggio 2010. Da poco più di due mesi Silvio Scaglia era rientrato a Roma dalle Antille, con un volo privato, per dimostrare la sua innocenza ai giudici che lo accusavano. Come ricompensa, lo fecero marcire in una cella in isolamento. Ero indignato ma nessuno mi dava retta.
Scrissi un messaggio nel suo blog http://www.silvioscaglia.it/ e affidai i miei pensieri a Facebook. Ora che Silvio Scaglia è sto assolto con formula piena, pubblico questi pensieri nel mio blog.

10 maggio 2010 alle ore 16.10. Silvio Scaglia. Sconta la superbia di essere tornato, con un aereo personale, non appena conosciuta la notizia di essere indagato. In carcere da 73 giorni, 10 ore, 7 minuti, 30.. 31.. 32.. secondi. E' il contatore che apre il suo blog. Sconta la superbia di essere tornato, con un aereo personale, non appena conosciuta la notizia di essere di nuovo indagato. L'accusa: "Associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale e dichiarazione infedele mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti". IL medesimo addebito che gli era stato contestato nel marzo 2007, nel corso della prima fase dell’inchiesta, terminata nel 2009 con una archiviazione per mancanza degli elementi di prova. I fatti sono gli stessi e da allora non risultano ulteriori elementi a carico. Il magistrato è convinto però che Scaglia, in qualità di amministratore delegato di Fastweb, non poteva non sapere della frode consumata ai danni di Fastweb e dell'erario (operazioni di compravendita e traffico telefonico, che integrerebbero ipotesi di frodi fiscali ‘carosello’). Scaglia invece sostiene che il suo mestiere era ed è quello di lavorare alle strategie, alle opportunità di sviluppo. Per il sottobosco truffaldino che, inevitabilmente, tende ad attecchire attorno ad ogni impresa di successo, ci sono i servizi di controllo, il personale ispettivo e gli uffici legali. Il presidente o l'amministratore di una società in crescita, con migliaia di addetti, non può fare il poliziotto. Rischierebbe di venire distratto dalla sua missione rivolta alla crescita del business, della ricchezza dell'azienda, dei soci, dei fornitori e dei dipendenti. Un imprenditore di successo, uno di quelli che preferisce la tecnologia alla finanza, è talmente preso nel creare e nel curare la squadra della sua attività, che fatica ad accorgersi dei malintenzionati. Non vede le manovre disoneste di chi vive alla giornata. Non capisce i limiti del cervello di chi non essendo capace di pensare al futuro, rimane incollato a un presente di intrighi e di raggiri! E' questo il tratto caratteriale di Silvio Scaglia, separato da un abisso siderale dal magistrato che lo accusa. Il magistrato è uno sbirro, educato al sospetto, inchiodato ai delitti della parte bassa della società, preoccupato di infliggere le pene ai delinquenti. Lui, il magistrato, non ha mai volato nei cieli del fare, fatica a capire la vertigine della torre alta, del ponte ardito, della rete informatica che connette assieme milioni di cervelli affini e li aiuta a pensare i modo sincrono! E' una guardia che, per catturare il reo, deve per forza volare basso, all'altezza del ladro. E se il sospettato si chiama Felice Ippolito, Enzo Tortora, Raul Gardini, non importa, viene spinto giù, giù sempre più in basso, a respirare la polvere, a inghiottire il percolato della discarica più velenosa. Così il reo o confessa o, prima o poi, muore. Può morire civilmente come fu per Ippolito, incarcerato, graziato, poi condannato a non occuparsi più di nucleare. Può morire dopo, di cancro psicosomatico, come fu per Enzo Tortora. Può morire prima, come fu per Raul Gardini, che preferì una pallottola alla tempia al colloquio col magistrato. Non contano i meriti del sospetto reo. Non importa se con le sue aziende ha creato migliaia di posti do lavoro. Non interessa se è stato il pioniere del cablaggio in fibra ottica e ha fatto un gran bene all'economia nazionale. Vorrei dire a Silvio Scaglia: "Sono dalla tua parte. Un po' perché anch'io fui vittima, da imprenditore tecnologico, dell'arroganza del potere. Un po' perché ho dei figli e sono preoccupato del futuro. Ma sopratutto perché la storia dice che c'è sempre una prima volta! La prima volta che il fare prevale sull'amministrare. Che i progresso prevale sulla tradizione. Che il buon senso prevale sul fondamentalismo. Tante prime volte. Che questa sia la tua, anzi la nostra come Paese." La prima volta del lavoro che vince sul sospetto e sull’invidia. 131021 Daniele Leoni

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