lunedì 21 ottobre 2013

Silvio Scaglia ha vinto. Ha vinto l'Italia del fare!

L'imprenditore Silvio Scaglia assolto con formula piena da tutte le accuse.
In tempi non sospetti quando, in Italia, non solo i Pm aguzzini ma anche tanti giornalisti ammalati d'invidia pruriginosa godevano per la pena preventiva inflitta ad un imprenditore, presunto untore miliardario, scrivevo queste righe che sono rimaste fra le mie note su Facebook. https://www.facebook.com/notes/daniele-leoni/silvio-scaglia-in-carcere-per-la-superbia-di-essere-italiano/10150162932360076
Era il 10 maggio 2010. Da poco più di due mesi Silvio Scaglia era rientrato a Roma dalle Antille, con un volo privato, per dimostrare la sua innocenza ai giudici che lo accusavano. Come ricompensa, lo fecero marcire in una cella in isolamento. Ero indignato ma nessuno mi dava retta.
Scrissi un messaggio nel suo blog http://www.silvioscaglia.it/ e affidai i miei pensieri a Facebook. Ora che Silvio Scaglia è sto assolto con formula piena, pubblico questi pensieri nel mio blog.

10 maggio 2010 alle ore 16.10. Silvio Scaglia. Sconta la superbia di essere tornato, con un aereo personale, non appena conosciuta la notizia di essere indagato. In carcere da 73 giorni, 10 ore, 7 minuti, 30.. 31.. 32.. secondi. E' il contatore che apre il suo blog. Sconta la superbia di essere tornato, con un aereo personale, non appena conosciuta la notizia di essere di nuovo indagato. L'accusa: "Associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale e dichiarazione infedele mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti". IL medesimo addebito che gli era stato contestato nel marzo 2007, nel corso della prima fase dell’inchiesta, terminata nel 2009 con una archiviazione per mancanza degli elementi di prova. I fatti sono gli stessi e da allora non risultano ulteriori elementi a carico. Il magistrato è convinto però che Scaglia, in qualità di amministratore delegato di Fastweb, non poteva non sapere della frode consumata ai danni di Fastweb e dell'erario (operazioni di compravendita e traffico telefonico, che integrerebbero ipotesi di frodi fiscali ‘carosello’). Scaglia invece sostiene che il suo mestiere era ed è quello di lavorare alle strategie, alle opportunità di sviluppo. Per il sottobosco truffaldino che, inevitabilmente, tende ad attecchire attorno ad ogni impresa di successo, ci sono i servizi di controllo, il personale ispettivo e gli uffici legali. Il presidente o l'amministratore di una società in crescita, con migliaia di addetti, non può fare il poliziotto. Rischierebbe di venire distratto dalla sua missione rivolta alla crescita del business, della ricchezza dell'azienda, dei soci, dei fornitori e dei dipendenti. Un imprenditore di successo, uno di quelli che preferisce la tecnologia alla finanza, è talmente preso nel creare e nel curare la squadra della sua attività, che fatica ad accorgersi dei malintenzionati. Non vede le manovre disoneste di chi vive alla giornata. Non capisce i limiti del cervello di chi non essendo capace di pensare al futuro, rimane incollato a un presente di intrighi e di raggiri! E' questo il tratto caratteriale di Silvio Scaglia, separato da un abisso siderale dal magistrato che lo accusa. Il magistrato è uno sbirro, educato al sospetto, inchiodato ai delitti della parte bassa della società, preoccupato di infliggere le pene ai delinquenti. Lui, il magistrato, non ha mai volato nei cieli del fare, fatica a capire la vertigine della torre alta, del ponte ardito, della rete informatica che connette assieme milioni di cervelli affini e li aiuta a pensare i modo sincrono! E' una guardia che, per catturare il reo, deve per forza volare basso, all'altezza del ladro. E se il sospettato si chiama Felice Ippolito, Enzo Tortora, Raul Gardini, non importa, viene spinto giù, giù sempre più in basso, a respirare la polvere, a inghiottire il percolato della discarica più velenosa. Così il reo o confessa o, prima o poi, muore. Può morire civilmente come fu per Ippolito, incarcerato, graziato, poi condannato a non occuparsi più di nucleare. Può morire dopo, di cancro psicosomatico, come fu per Enzo Tortora. Può morire prima, come fu per Raul Gardini, che preferì una pallottola alla tempia al colloquio col magistrato. Non contano i meriti del sospetto reo. Non importa se con le sue aziende ha creato migliaia di posti do lavoro. Non interessa se è stato il pioniere del cablaggio in fibra ottica e ha fatto un gran bene all'economia nazionale. Vorrei dire a Silvio Scaglia: "Sono dalla tua parte. Un po' perché anch'io fui vittima, da imprenditore tecnologico, dell'arroganza del potere. Un po' perché ho dei figli e sono preoccupato del futuro. Ma sopratutto perché la storia dice che c'è sempre una prima volta! La prima volta che il fare prevale sull'amministrare. Che i progresso prevale sulla tradizione. Che il buon senso prevale sul fondamentalismo. Tante prime volte. Che questa sia la tua, anzi la nostra come Paese." La prima volta del lavoro che vince sul sospetto e sull’invidia. 131021 Daniele Leoni

Pubblicato anche su Il Calcestruzzo

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