lunedì 28 ottobre 2013

Nessuna congiura, solo politici “dabbene” e un’Italia addormentata.

Il mio intervento pubblicato da LsBolg.it
LsBlog, il seguitissimo giornale online, ha pubblicato il mio intervento su Porta a Porta e il sogno di Adriano Olivetti. Lo ha fatto con un commento del suo direttore Marco Cavallotti. Scrive Cavallotti: “Olivetti rappresentò certamente un momento molto interessante della storia industriale del nostro dopoguerra. E tuttavia, non credo che si faccia un buon servizio alla storia del nostro paese adottando, come avviene troppo spesso, il sistema interpretativo “della congiura”. Tutto quello che in Italia va male, va male per colpa di forze occulte ed avverse, altrimenti chissà come staremmo bene... La concorrenza industriale è certamente un elemento fondamentale nel valutare la parabola della Olivetti. Ma concorrenza c'era anche con Adriano Olivetti in vita, eppure l'Olivetti continuava a crescere ed a mietere successi in Italia e all'estero. Fu dopo la sua morte che il declino cominciò assai rapidamente: mi parrebbe il caso di chiedersi se la nidiata di manager “nuovi” cresciuti in Olivetti fosse all'altezza della situazione, o se non mancasse di quella cultura imprenditoriale e industriale che aveva consentito ad Adriano le sue politiche di stampo “umanistico” senza per questo frenare l'impulso di crescita propriamente industriale ed economica. Se in sostanza i signori in questione non fossero più intellettuali – magari con qualche esagerazione – che imprenditori. Ovvio che tutti, con una voce sola, preferiscano oggi optare per l'ipotesi della congiura e del fato avverso. Stimo e apprezzo spesso i commenti di Sapelli: ma da storico qual è, lui per primo dovrebbe sapere che bisognerebbe esibire qualche documento, prima di invocare la tesi della congiura. E a questa distanza di tempo, i documenti e le prove dovrebbero cominciare a saltar fuori. Credo poi che si sottovaluti il ruolo svolto da forze politico-sindacali e imprenditoriali tutte italiane: e forse la rilettura delle tesi ufficiali dei sindacati di allora (e forse anche quelle di oggi) potrebbe costituire un buon avvio. Parole come “cogestione” provocavano brividi di odio e di orrore... La concorrenza internazionale c'è sempre stata e ci sarà sempre. Il problema sta nel saperla contrastare e magari anche vincere, senza considerarla una congiura a nostro danno. È, più semplicemente, una guerra combattuta con altri mezzi.”
Così Marco Cavallotti. Non potevo non rispondere, allora ho replicato.
Enrico Mattei partigiano
"Caro Marco Cavallotti, sono d’accordo che il sistema interpretativo della congiura non è un metodo che funzioni per l’analisi storica. Però i fatti sono fatti. La mia è solo una riflessione su quello che avvenne dopo la scomparsa di Adriano Olivetti e un resoconto ragionato della trasmissione Porta a porta di mercoledì 23 ottobre. Ringrazio LsBlog per lo spazio che mi ha dedicato e non vorrei approfittarne. Adriano Olivetti , nel 1960, con la sua scomparsa, lasciò una voragine nell’Italia dell’ultimo rinascimento, quello del boom economico dopo la ricostruzione. Nella voragine si inserirono forze economiche potenti abituate al gioco sporco. Così l’assassinio di Enrico Mattei del 1962 sortì il risultato della demolizione della cultura industriale che accomunava Mattei e Olivetti. Mattei era anche erede e braccio armato di Alcide De Gasperi nell’economia della ricostruzione. Un uomo che non si fermò nemmeno un attimo dopo la morte, nel 1954, del padre culturale e politico. Un altro padre della Patria morì prematuramente in quei primi anni sessanta, anch’egli in modo inaspettato e improvviso, nel 1964, esattamente dieci anni dopo la scomparsa del suo grande avversario politico.
Palmiro Togliatti assieme a Nilde Jotti negli anni 50
Era Palmiro Togliatti, il comunista che salvò l’Italia dal comunismo! Venne aperta un’altra voragine. Felice Ippolito, comunista, braccio armato di Togliatti nell’economia, alter ego di Mattei nel comparto nucleare, attivo col suo CNEN anche nella ricerca mineraria di uranio all’estero, analogamente all’ENI per la ricerca petrolifera, venne sbattuto in galera con una scusa! Senza Togliatti a difenderlo, venne condannato alla velocità del fulmine, al 11 anni di carcere. Ne scontò due poi fu graziato dal Presidente Saragat. Riabilitato, Nel 1968 fondò e diresse la rivista Le Scienze, versione italiana di Scientific American. Eletto al Parlamento Europeo nelle liste del PCI vi rimase fino al 1989. Ma per il nucleare italiano fu la fine. Romano Prodi scriveva il 28 febbraio 2010 su Il Messaggero: “Io sono stato fra i pochi che hanno votato a favore del nucleare. L’ho fatto in piena coscienza, per la convinzione che un Paese come l’Italia non potesse e non dovesse uscire da un settore in cui aveva investito tante risorse e in cui, tramite migliaia di tecnici e scienziati, aveva accumulato un’esperienza e posizioni di eccellenza invidiate nel mondo. Di tutto ciò è rimasto poco o nulla. Non abbiamo più, checché se ne dica, un’industria capace di costruire una centrale. Abbiamo smantellato la più parte delle scuole specializzate in materia di tecnologie nucleari e gli studenti di ingegneria nucleare sono ridotti a poche decine in tutto il Paese. Per decenni infatti non avevano alcuna possibilità di trovare un lavoro in questo campo in Italia. Abbiamo infine cancellato tutte le strutture pubbliche deputate a controllare la sicurezza, dato che l’ultima licenza concessa risale al 1971 e non abbiamo più le competenze nelle istituzioni responsabili per le licenze e le procedure di costruzione. Abbiamo, in sintesi, distrutto quasi tutto il sapere scientifico, gestionale, industriale e istituzionale necessari per costruire una filiera nucleare.” La stessa cosa, secondo la filosofia di Romano Prodi, la si potrebbe dire per la chimica, l’elettronica, la siderurgia , l’industria alimentare e anche per le infrastrutture. Che bell’esempio d’insipienza e di faccia tosta da parte di chi è stato uno dei primi responsabili del declino italiano! Le testimonianze di Ferrarotti, Sapelli e Della Valle a Porta a Porta hanno messo l’accento sulla voragine che è politica, culturale, giudiziaria prima che economica. Lo hanno fatto di fronte a milioni di telespettatori. Seguirà la fiction con Luca Zingaretti che scuoterà il popolo italiano da un torpore durato cinquant’anni. Almeno spero."
Nemmeno il tempo di postare e la risposta di Cavallotti è già arrivata.
Carlo De Benedetti che preferì sempre la finanza all'eccellenza del prodotto.
“Giusto, gentile Daniele Leoni, i fatti sono fatti, e la storia è un'altra cosa. Ripeto, bisognerebbe capire quali sono le cause di tutti questi fallimenti. E passi per la morte di Mattei, sulla quale grava un sospetto di attentato che non so se mai si trasformerà in certezza. Il mondo delle risorse energetiche è a volte spietato, e anche un assassinio potrebbe starci. Ma tutto il resto, confermo, mi pare più frutto di scarsa capacità imprenditoriale o di guerriglia interna e nazionale – una guerriglia che non si è mai fermata – che di un disegno delle multinazionali o dei Paesi che “progettano la divisione del lavoro” (progetto che se c'è sta in piedi con la collaborazione di ogni paese...). Quello che lei chiama padre della patria – Togliatti, al quale io invece attribuirei la gravissima responsabilità di aver proseguito la battaglia contro la socialdemocrazia e di aver così perpetuato il ritardo nella sinistra italiana iniziato nel 1921 con la scissione di Livorno e la nascita del Pci – può ben essere annoverato tra coloro che si batterono contro quei criteri di cogestione – così socialdemocratici, stavo per scrivere “socialfascisti”, come dicevano lui e i suoi amici – che avrebbero costituito una delle forze propulsive del capitalismo tedesco. Ma su di lui e sui suoi rapporti con gli Italiani basterebbe ricordare le luminose esperienze all'Hotel Lux... Può darsi benissimo, e i documenti non dovrebbero mancare, che guerra contro Ippolito si possa collocare nello scontro sordo fra democristiani e comunisti. Ma la guerra contro Ippolito si trasformò presto in una guerra ideologica contro il nucleare che coinvolse buona parte degli Italiani, in una visione pauperista, arcadica e alla lunga suicida del loro futuro. E allora, a meno di ritenere che siano stati gli Italiani a congiurare contro se stessi, i conti dovrebbero essere fatti con un mondo e una cultura tutti nostri, anche se certo in tutto questo qualcuno che ci ha guadagnato c'è certamente, e non sono gli Italiani. Tornando alla Olivetti, inviterei gli storici di professione a dedicarsi – come del resto fanno – ad analizzare la cultura industriale e lo spirito imprenditoriale degli eredi di Adriano: il quale amava circondarsi, più che di capitani di industria magari un po' rozzi, ma attivi e dinamici, e a volte perfino aggressivi, di intellettuali senza grande competenza specifica né di tipo tecnico, né di tipo manageriale. Come accennava Ursus, le scelte produttive dell'Olivetti fra gli anni '70 e '80 costituirono una serie gravissima di errori, e un segno altrettanto grave di miopia sul futuro di quel settore industriale: magari favorita dai sempre più insensati aiuti di stato, forniti nel modo peggiore, ossia acquistando attrezzature nate obsolete e spesso mai utilizzate. Tutti errori che Olivetti non avrebbe fatto, perché oltre che dotato di una nuova visione delle relazioni industriali, aveva anche un solido spirito imprenditoriale. Grazie comunque per aver aperto una discussione interessante: per queste c'è sempre spazio su LSBlog, come ce n'era sempre su Il Legno Storto.”
Accetto l’invito. Alla prossima allora caro Marco Cavallotti. Adesso vediamo la Fiction Rai di Zingaretti che, sono sicuro, avrà l’impatto sull’immaginario collettivo italiano paragonabile a ”La cittadella” di Cronin interpretata, per la televisione italiana, dal grande Alberto Lupo nel 1964. 131028 Daniele Leoni

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