venerdì 29 aprile 2011

Ricordi: scrivere a macchina

Me la sono sempre cavata bene a scrivere, pur avendo qualche difficoltà con la penna. Meglio la  macchina per scrivere!  Ero appena adolescente quando mio padre mi regalò l'Antares portatile. Non era una Olivetti lettera 32, ma una imitazione, molto meno agile, con una certa somiglianza nella forma.
Per me andava bene lo stesso. Volevo impratichirmi presto. Dovevo scrivere velocemente e in modo pulito. Volevo potermi concentrare sulle idee e non sulla calligrafia che non era mai stata il mio forte. Avevo l'ossessione di fare presto e bene e la cura della scrittura a mano mi sembrava una perdita di tempo.[1]
La Olivetti lettera 32 (1963)
Così iniziai il mio training alla tastiera, accompagnato dal tic tic di sottofondo che mi dava un tono d'importante. In poco tempo diventai esperto. Non battevo a macchina con dieci dita ma sei dita le utilizzavo con una certa velocità. Non seguivo l’ordine di utilizzo delle dita, secondo le istruzioni del manuale di dattilografia. Era troppo complicato. Poi non sono mai riuscito a scrivere a macchina senza guardare la tastiera. Ma quelle erano cose per dattilografi che dovevano scrivere sotto dettatura oppure ricopiare testi scritti a mano. Io invece dovevo scrivere quello che mi veniva in mente cercando di fare meno errori possibile. Appunto, dovevo pensare bene prima di scrivere, per evitare le cancellature. Quando facevo un errore utilizzavo un nastrino che trasferiva il colore bianco sul carattere sbagliato. Poi riscrivevo la parola corretta. Era un lavoraccio.
Chi scriveva seguiva due metodi, validi entrambi sia per la scrittura a macchina che per quella con penna e calamaio. Il primo era quello di pensare bene prima di scrivere per non commettere errori. Non era un metodo adatto alla creatività. Era adatto per le attività ripetitive, tipo le lettere commerciali.
La Olivetti lettera 22 (1950)
 Il secondo metodo consisteva nello scrivere di getto, senza preoccuparsi della forma e dell’ortografia, ed asciugare tutto dopo, in una seconda e in una terza stesura. Questo secondo metodo mi ha sempre stimolato perché la seconda stesura era molto più della semplice traduzione in bella copia di un brogliaccio. Le varie fasi di elaborazione del testo erano un lavoro mentale complesso perché non ti dovevi preoccupare subito di come scrivevi ma dovevi scrivere le tue cose così come venivano, piene di errori di battitura e di forma. Tanto poi dovevi riscrivere tutto in bella. Allora le idee non erano rallentate dalla mano. Sgorgavano libere. La seconda stesura non era un lavoro di copia in bella. Era una riscrittura con la riconsiderazione meditata di idee ed impressioni che appartenevano ad un foglio dattiloscritto con tante croci, più di un cimitero. Scarabocchi, strafalcioni e idee che facevi fatica a decifrare. Se avessi scritto a mano invece che a macchina non ti saresti più raccapezzato. Invece la seconda stesura, scritta a macchina, era quasi perfetta. Era presentabile per raccogliere commenti, critiche, apprezzamenti. Potevi rileggerla, ancora cancellando, aggiungendo. La terza stesura era quella definitiva, perfetta nella forma, asciutta nello stile, ineccepibile nel contenuto.
Al liceo nessuno ti insegnava la dattilografia. Era una materia per ragionieri e per segretarie. La futura classe dirigente che sarebbe uscita dal liceo e dall'università poteva anche non conoscere la tastiera della macchina da scrivere. Per riflettere e generare idee era più adatto il silenzio del pennino o della biro invece della tastiera ticchettante. Quel 1968 riminese però era un anno di grandi cambiamenti. Prendeva forma la contestazione studentesca che utilizzava il ciclostile per i volantini e per i giornali fatti in casa. La matrice del volantino veniva incisa con una macchina da scrivere disattivando il nastro inchiostratore. Ecco allora la prima piccola rivoluzione del movimento studentesco: una macchina da scrivere al posto della stilografica. Il ticchettio faceva il paio con lo sferragliare del ciclostile ed echeggiava di redazione e di tipografia. La precoce abilità di dattilografo mi fece  entrare nelle file del movimento. A pensarci bene la prima motivazione della mia militanza politica fu proprio l'attrazione verso gli strumenti della propaganda. Certo condividevo gli obiettivi di svecchiamento della scuola e la contestazione al sistema educativo inadeguato ma la folla delle manifestazioni non mi ha mai entusiasmato. Era più interessante raggiungere migliaia di persone con un giornalino che non dar vita ad una folla urlante. Era più divertente discutere di filosofia e di limiti del consumismo piuttosto che gridare slogan.
Apple Mac Tablet (2010)
Sono passati oltre quarant'anni da allora. Mi piace ancora scrivere ma non ho più bisogno di fare una seconda o una terza stesura. La tastiera è sempre la stessa QWERTY ma è molto più morbida oppure è disegnata nello schermo. Non c'è più  il tic tic dei martelletti sul foglio. Per qualche tempo ho avuto il dubbio di aver perso qualche cosa perché mi manca la fase, importantissima, della riscrittura ragionata. Ma rispetto ad allora ho guadagnato un universo. Penso che anche il cervello si sia adattato al computer affinando capacità che prima erano inutili. Il risultato finale ci ha guadagnato, se non in qualità, almeno  per il numero di persone che scrivono e che possono comunicare istantaneamente con i loro amici in rete. In occidente, alla folla urlante si sostituisce, via via, una folla pensante. Una folla che preferisce affidare ad un testo scritto le proprie opinioni. Oppure ad un video da caricare su Youtube, ma è sempre qualche cosa che rimane e che può essere letto, ascoltato, visto migliaia, milioni di volte. 110429 Daniele Leoni

[1] Più avanti negli anni  iniziai a riflettere sulla velocità della mente e sulla lentezza della mano e su come il soffermarsi nel disegno o nella calligrafia aiutasse ad affinare il pensiero e la creatività.

Foto: L'Olivetti lettera 32 del 1963 era l'evoluzione della lettera 22 del 1950. Però, per gli occhi di oggi, la lettera 22 ha un design molto più morbido e raffinato. Fu premiata dall’Illinois Institute of Technology come miglior prodotto di design del secolo ed è esposta al Museum of Modern Art di New York. Chissà se l'Apple Mac Tablet riceverà un anlaogo riconoscimento?

lunedì 25 aprile 2011

Il partito degli astronauti.

Penso al 1969, quello del movimento ma soprattutto quello della luna. Se ci fosse stato il partito degli astronauti, di coloro che puntavano allo spazio cosmico per risolvere i nostri problemi terreni, io mi sarei iscritto a quel partito. L'avrei fatto per tanti motivi razionali, tutt'altro che fantasiosi. Per la sfida tecnologica portata all'estremo con ricadute eccezionali in ogni comparto dell'industria e quindi dell'economia. Per il carattere di gara, e non di conflitto fra le nazioni, della conquista del cosmo. Infine per l'intrinseca necessità di unire gli sforzi fra le nazioni qualora l'impresa fosse proprio grandiosa come la colonizzazione di un nuovo mondo. Mi sarei scritto al partito degli astronauti per due ragioni di fondo. Che dallo spazio la terra si vede come un piccolo e fragile pianeta dove le guerre fra i popoli manifestano, a colpo d'occhio, tutta la loro stupidità. Che l'homo sapiens, dicono gli antropologi, non appena alzò il capo, si mise a guardar le stelle.
Sarà che ci sentiamo rinchiusi nel guscio del pianeta. Intrappolati su una terra che trema e ribolle per l'agitarsi delle placche tettoniche, dell'asse di rotazione ballerino, dei poli magnetici fluttuanti, dell'atmosfera minacciata dai buchi nell'ozono. Poi ci sono le tempeste solari, le comete e i meteoriti che potrebbero impattare con catastrofi in grado di lasciare in vita solo gli insetti. La storia geologica ci racconta quanto spesso sia già capitato e ci da l'assoluta certezza che, prima o poi, capiterà di nuovo. Solo con la conquista dello spazio cosmico l'esperienza della vita intelligente, rappresentata dall'uomo, si potrà salvare dall'estinzione. Qualcuno è spaventato dall'energia nucleare? Qualcuno vuole, egoisticamente, evitare i rischi della scienza e dell'avventura umana? Vuole spingere all'estremo il controllo delle nascite per un guscio ecologico, piccolo e bello? Li finirà per prevalere la stanchezza e la vecchiaia. E infine la morte per consunzione o per un cataclisma.
Provo a spiegarmi meglio. Il dato inconfutabile è che la storia geologica ha conosciuto una serie di eventi catastrofici, che senz'altro si ripeteranno in futuro, ai quali l'umanità non potrebbe sopravvivere. A meno che non si proceda nella strada di una tecnologia "pesante", energivora, in grado di, evitare o fronteggiare immani cataclismi. Oppure di sfuggire al destino della terra e della  sua biosfera colonizzando lo spazio con stazioni grandi come metropoli. Stazioni in grado di ricavare risorse dai meteoriti e da altri oggetti cosmici ricchi di acqua e di minerali.  L'energia necessaria sarebbe quella dell'evoluzione della tecnica nucleare, fino alla fusione e oltre. Questa è la prima ipotesi, aperta al "diritto alla vita" tanto caro al popolo dei cristiani.
La seconda strada è quella della preponderanza della tecnologia "leggera", fondata non sul fare ma sul comunicare, alimentata dalle risorse rinnovabili e basata sul risparmio. Ovviamente in questo caso occorrerà fare i conti con i limiti del pianeta e quindi imboccare decisamente la strada del controllo delle nascite, con l'obiettivo della riduzione della popolazione.
Certo, le tecnologie leggere sono fondamentali e comunicare è un tratto essenziale della nostra civiltà. Esse sono una condizione necessaria, ma non sufficiente! Un'umanità che percorresse esclusivamente questa seconda strada, non potrebbe sfuggire a un cataclisma planetario di tipo geologico o all'impatto di un corpo estraneo col pianeta. Ma supponendo che l'evento catastrofico tardasse centomila o un milione di anni, e quindi ci potrebbe essere tanto tempo per riflettere su soluzioni oggi impensabili, l'umanità dovrebbe affrontare la sfida dell'invecchiamento della popolazione. Non oso pensare agli scenari di un mondo di vecchi, con la vita che si allunga sempre di più, dove un bambino è visto come una iattura. Sarebbe la morte per consunzione perché l'uomo smetterebbe di desiderare, di giocare, di inventare, di amare.
Ho iniziato ad arrovellarmi su questo tema per la grande considerazione che ho per il pensiero cristiano, da ateo quale sono. Mi sono andato via via convincendo che la difesa ad oltranza della vita, anche quando potrebbe apparire insensata, nasconde una forza ancestrale che si oppone a coloro che si vogliono chiudere nel guscio. E raccoglie seguaci soprattutto in occidente. Daniele Leoni
Foto: 1) Il tramonto della Terra.  2) L'uomo creatore secondo L'Economist.