lunedì 31 dicembre 2012

Fine dei rumori della Banca Mediolanum

Una immagine dello spot assordante su Ilfoglio.it
Questa mattina lo spot assordante e sguaiato di Banca Mediolanum non c’è più. Al suo posto, in alto a destra nella pagina online de Il Foglio, c’è la consueta pubblicità discreta, assolutamente non invasiva. C’è un consiglio per gli acquisti elegante con un’offerta turistica. Non è solo pubblicità ma è anche informazione. Ecco perché questo tipo di inserzione è utile e a nessuno verrebbe in mente di lavarla via. Ho disattivato subito l’applicazione che avevo caricato per difendermi da quell’obbrobrio che ha imperversato per una settimana su IlFoglio.it. Sarei curioso di sapere che effetto abbia avuto sul flusso dei pagamenti online degli abbonamenti . Probabilmente gli accessi saranno anche aumentati perché la pagina, normalmente attiva tutto il giorno, negli ultimi sette giorni veniva spesso spenta per evitare lo spot invasivo, e poi ricaricata. Almeno questo è quello che facevo io. Ma i pagamenti debbono essere per forza diminuiti. Deve averci rimesso anche Banca Mediolanum e la società di pubblicità autrice della infelice trovata. Perché un giornale online non è il cinema e nemmeno un canale televisivo. Come la carta deve essere silenzioso. "Ma  è multimediale!" protestano i rumoristi. Allora deve parlare solo se interrogato! 121231 Daniele Leoni

Leggi anche:
http://danleoni.blogspot.it/2012/12/quello-spot-rumoroso-su-il-foglio-online.html 

domenica 30 dicembre 2012

Quello spot rumoroso su Il Foglio online.

Il Direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara
Una decina di giorni fa ho avuto una sconcertante sorpresa leggendo il mio quotidiano online preferito: IlFoglio.it. Quel riquadro, in alto a destra, destinato, da sempre, a una inserzione pubblicitaria discreta, è diventato improvvisamente rumoroso. Colpa di uno spot della Banca Mediolanum che si anima, con audio fastidioso e invasivo, ad intervalli regolari e al caricamento di ogni nuova pagina. Mi piace Il Foglio di Giuliano Ferrara, a cui sono abbonato nella versione online. Mi piace come scrive e ragiona il gruppo variegato di giornalisti, i “foglianti”, che da vita al quotidiano. Di Giuliano Ferrara apprezzo l’acume, l’equilibrio e l’assenza di settarismo. Più che le opinioni, che possono essere condivise o meno, oppure condivise in parte, è lo stile pacato che affascina, anche quando gli argomenti sono spinosi e contro corrente. Acume ed equilibrio che hanno ispirato anche lo stile e le scelte editoriali online de Ilfoglio.it. La scelta di riservare agli abbonati alcuni articoli, che però diventano disponibili a tutti dopo un certo periodo di tempo, è validissima come è azzeccata la soluzione del testo standard, trasferibile, col copia e incolla, senza particolari problemi. Questo favorisce la cassa di risonanza, ad opera dei lettori, nei social network che diventano un ulteriore strumento di visibilità. Ma torniamo alla pubblicità rumorosa. Ho scritto immediatamente al servizio online. Mi ha risposto il Direttore Michele Buracchio condividendo le mie rimostranze ma mi ha fatto presente che l’advertising su ilfoglio.it è gestito da una società esterna. Ho aspettato alcuni giorni tenendo spenta la finestra incriminata nel browser, un po’ interdetto per via dell’abbonamento. Ho riscritto a Michele Buracchio ma ancora non mi ha risposto, non potendomi accontentare. Sono corso ai ripari caricando un’estensione al mio browser Mozilla Firefox che si chiama AdBlock Plus. E’ un’applicazione molto furba che intercetta le inserzioni pubblicitarie e le elimina. Si aggiorna automaticamente come un antivirus e contiene filtri personalizzabili. L’autore dell’applicazione è Wladimir Palant che la distribuisce gratuitamente. Nel sito c’è la possibilità di fare una donazione. Io ho donato cinque dollari dopo averne verificato il funzionamento. Da quel momento tutta la pubblicità online è magicamente scomparsa, anche quella non fastidiosa. A dir la verità l’applicazione da anche la possibilità di escludere solo quello che da fastidio ma è più facile escludere tutto, col vantaggio che le pagine sono più pulite e si consultano meglio. Sono tornato al sito del prodotto e ho capito che è una cosa seria: 13 milioni di download effettuati e tre milioni di utilizzatori quotidiani. E’ di pubblico dominio con i sorgenti disponibili, si adegua ai nuovi scenari. C’è un blog dedicato allo sviluppo, agli utenti e una gran quantità di documentazione. Tutto lascia presagire una crescita fiorente di questa nuova attività, parallelamente all’editoria online. Ho cominciato a pensare all’evoluzione del mondo della pubblicità in rete. E’ vero quello che mi ha scritto Michele Burracchio: oggi sono società terze che gestiscono le inserzioni . I proprietari dei siti tendono ad affidare a queste società tutto il pacchetto ottenendone un ritorno economico proporzionale al numero di caricamenti delle pagine e al numero di click sull’inserzione per saltare alla pagina del prodotto reclamizzato. Se la pubblicità è invasiva tenderà ad essere eliminata oppure provocherà una disaffezione dell’utente alla pagina che la ospita. Il primo caso danneggia l’inserzionista e il secondo danneggia anche il proprietario del sito. Se invece la pubblicità fosse gestita direttamente dall’editore, nel nostro caso da ilfoglio.it, allora non sarebbe distinguibile dagli articoli e dalle foto di redazione e non potrebbe essere eliminata così facilmente. D’altra parte la gestione diretta garantirebbe il controllo istantaneo delle reazioni del pubblico e consentirebbe di correggere il tiro istantaneamente, se necessario. Mi vengono in mente le discussioni della fine degli anni 90, quando la mia azienda gestiva le vendite online dei biglietti per i teatri. A scanso di equivoci noi scegliemmo di non mettere pubblicità. Però valutammo anche, in accordo col Teatro, di sperimentare inserzioni molto discrete, affini ai gusti del pubblico. Quando lo provammo registrammo immediatamente una brusca riduzione nei flussi di vendita. Non perché infastidisse ma forse perché aumentava la quantità i informazioni, distraendo il cliente, il cui fine era l’acquisto online e il pagamento contestuale. Nel frattempo ricevevo pressioni inaudite e offerte stratosferiche per affidare a società di marketing la gestione della pubblicità nei nostri siti. Se avessi ceduto avrei fatto fallire la mia azienda e quel fatturato di svariati miliardi di lire online me lo sarei sognato. Oggi l’editoria online è a un bivio e credo che la gestione diretta della pubblicità sia indispensabile per garantirne la crescita, perché solo l’editore può avere quella sensibilità e quella reattività in grado di eliminare gli errori. A proposito di errori, leggo nel regolamento dell’offerta WebSystem, che fornisce il servizio advertising a Ilfoglio.it: “L'audio se presente deve essere off di default ed attivabile dall'utente …” Lo spot di Banca Mediolanum ha l’audio on, si può disattivare, ma dopo cinque minuti riparte con l’audio a tutto volume. 121230 Daniele Leoni

Oggi, 31 Dicembre, sette giorni dopo il mio primo messaggio, lo spot rumoroso è stato tolto! Ringrazio di cuore i miei amici foglianti e auguro a tutti un felice 2013!

giovedì 20 dicembre 2012

La globalizzazione è bella!

Scorcio di Expo 2015, con muro interattivo touch screen.
Quello che si diceva negli anni 90, a proposito di televisione con l’avvento di Internet, oggi si è realizzato. Il computer, il telefono e il televisore si sono unificati per dar vita ad un nuovo supermedia. Un supermedia che ha generato una miriade di oggetti dedicati allo spettacolo, alla musica e all’informazione. Fanno capolino occhiali speciali, con auricolari, per percepire una realtà arricchita dalle informazioni presenti in rete, utili per visitare musei o siti monumentali. Il vetro anteriore delle automobili o la visiera del casco dei motociclisti, ciclisti, escursionisti si animeranno presto con immagini e segnalazioni utili. I teatri avranno scene virtuali non distinguibili da quelle tradizionali ma replicabili, in qualsiasi palcoscenico, istantaneamente e senza costi. Fa capolino la carta elettronica lasciando presagire l’agenda-quaderno del futuro con fogli di grafene, ognuno con le capacità di un monitor touch-screen, dove poter leggere, materializzare pagine con foto, filmati . Dove poter scrivere, trasferire foto e filmati catturati direttamente dai nostri occhiali magici. O, perché no, da lenti a contatto con analoghe caratteristiche. Visitare un museo, andare in biblioteca, semplicemente per strada o al cinema con i nostri occhiali magici e digitalizzare tutto quello che leggiamo, ascoltiamo, osserviamo, mettendo dentro anche del nostro: i commenti, le sensazioni, i pensieri. Poi, dopo, con calma, provare a fare un editing sintetico e organico di quanto abbiamo osservato. Oppure lasciare il materiale grezzo a futura possibile memoria. Il numero di unità di informazione che saremo capaci di memorizzare diventerà analogo alla somma del numero dei geni del DNA dei virus, batteri, cellule del nostro mondo biologico ovvero al numero di corpi celesti della nostra galassia ovvero a numero di stelle nell’universo. Ma c’è molto molto di più! Per ogni bit memorizzato è possibile integrare transistor, unità logiche di circuiti. Così dall’immagine fatta di megapixel, venticinque volte al secondo per animarsi, le applicazioni estrarranno contorni e scenari, inclusi i simboli della notazione convenzionale, sia essa alfabetica, matematica, musicale o altro. Dall’alfabeto il linguaggio, il racconto e il poema; dai numeri il teorema, l’applicazione e l’astrazione; dalle note la musica capace di comunicare i sentimenti. L’applicazione! Ecco la parola magica della tecnologia contemporanea. “Apps”, che sta per “applications package” è l’abbreviazione, inventata da Apple, per indicare le procedure che girano negli iPhone e nei tablet dell’ultima generazione. Sono scritte in linguaggio PHP, oppure Java Script, versioni evolute dei linguaggio C e HTML. IL sistema operativo è uno UNIX evoluto che prede il nome di OSX, IOS oppure Android. Negli anni 90 si pensava ad una unificazione dei linguaggi di programmazione e dei sistemi operativi. Non è stato così perché hanno prevalso le barriere di difesa delle varie multinazionali tecnologiche, ognuna gelosa delle proprie squadre di tecnici fidelizzati che conoscono tutti i trucchi per sviluppare il software nel linguaggio proprietario. Nel mondo della lingua scritta e parlata invece l’inglese è diventato il comune denominatore che consente all’umanità di capirsi. Un fenomeno affascinante quello della lingua e delle lingue, con meccanismi di compensazione impensabili e affascinanti. Qualcuno potrebbe dire che l’Inghilterra e gli Stati Uniti siano avvantaggiati nella globalizzazione attorno alla lingua inglese. Invece è vero il contrario perché i cinesi oppure gli spagnoli sono costretti ad essere bilingui: devono conoscere la propria madre lingua e l’inglese. Il bilinguismo stimola aree del cervello che altrimenti rimarrebbero inattive con enormi vantaggi per l’intelligenza creativa. Più le lingue sono diverse, per esempio il cinese, il giapponese e l’inglese, più la ginnastica mentale è efficace così che i popoli lontani dall’occidente hanno la possibilità di diventare atleti della mente. E’ come se madre natura mettesse continuamente in atto meccanismi di compensazione per i più sfortunati. Un’esperienza diretta, quando avevo la mia società di informatica, mi aprì gli occhi su questo fenomeno. Entrai in contatto con un ragazzo poliglotta, poco più che ventenne, di origine mediorientale. Sapeva parlare e scrivere in una quantità di lingue (arabo, spagnolo, tedesco, inglese, italiano) e conosceva bene i linguaggi di programmazione. Mi raccontò della sua adolescenza in un Paese in guerra, dove le attività più remunerative erano il traffico d’armi e di droga. Mi raccontò della sua cattura in occidente con una partita di cocaina e che scontò, in occidente, alcuni anni di carcere. Mi disse che in carcere ebbe l’opportunità di studiare, di appassionarsi all’informatica e di perfezionare le tante lingue imparate durante i suoi traffici. Mi disse che essere arrestato fu il più grande colpo di fortuna della sua vita: fuori sarebbe stato ucciso o ridotto in schiavitù. Scontata la pena, partecipò ad un test di informatica presso una grande banca. A seguito dell’eccezionale risultato del test, fu ingaggiato a contratto. Dopo pochi mesi la direzione della banca fece alcune indagini perché voleva assumerlo come dipendente e scoprì i suoi trascorsi penali che ne rendevano impossibile l’inserimento in organico. Fu allora che un dirigente della banca mi propose di assumerlo nella mia società garantendomi, in contropartita, una buona commessa purché lo mettessi a disposizione delle attività concordate. Ogni tanto mi ritorna in mente quel ragazzo così brillante, quegli incassi dall’estero, perché la banca committente non era italiana e quello stipendio versato in un conto libanese, per un lavoro più che onesto, con un giro che avrebbe potuto insospettire la guardia di finanza. Eppure non mi tirai indietro: feci la cosa giusta guadagnando un po’ di soldi e tanta, tanta esperienza.
Robot al montaggio alla Tesla Motors, la fabbrica di Elon Musk
Oggi internet, televisione, telefono e computer sono unificati e hanno unificato il mondo. Non è più necessario essere presenti in fabbrica per controllare i processi produttivi. Le fabbriche robotizzate si preparano a costruire macchine che replicano loro stesse, dove la microelettronica si ottiene manipolando la struttura molecolare dei materiali. Che senso ha, alla luce di questi scenari, pensare a de localizzare per risparmiare sui costi della manodopera? Non potrebbe invece diventare conveniente il contrario, cioè trasferire le unità produttive più sofisticate e strategiche in paesi ricchi di infrastrutture e con un tessuto sociale stabile e sicuro? La mia società d’informatica, oltre vent’anni fa, inventò la teleassistenza software per le biglietterie elettroniche dei grandi teatri in modo da gestire i sistemi e fare la manutenzione a Milano, Roma, Firenze, Genova, Trieste, Torino, Cagliari, Catania da Sant’Agata sul Santerno, senza spostare fisicamente i tecnici. Fui il primo a farlo, almeno in Italia.
La biglietteria tele-assistita di Daniele Leoni al Teatro alla Scala nel 1991
Le banche che erano all’avanguardia con i computer, avevano scelto la strada contraria, cioè quella dei grandi centri di calcolo con una periferia di terminali stupidi nelle sedi, connessi ai centri con linee dati dedicate. I centri erano fisicamente presidiati 24 ore su 24. I teatri non avrebbero mai accettato una simile architettura perché erano in competizione fra di loro e pretendevano il possesso fisico della base dei dati. Poi le linee dedicate erano troppo costose per i teatri. Allora feci di necessità virtù, accettai la sfida e ne uscii vittorioso. Oggi, dopo vent’anni, sarebbero possibili unità produttive con gli impianti e le linee di montaggio in Italia, la direzione e lo staff tecnico in Cina, la ricerca e sviluppo in India. Oppure tutte le mansioni distribuite attorno al mondo con al centro, assieme agli impianti di produzione, la sola manutenzione delle macchine e il magazzino. Che senso ha, alla luce di questi scenari, avere paura degli immigrati e non rendersi conto che essi sarebbero una ricchezza inestimabile se noi li sapessimo integrare con la nostra struttura socio-economica. Perché madre natura, assieme a tante miserie, ha regalato loro una formidabile ginnastica mentale! Che senso hanno i localismi, i micro – federalismi, in un mondo sempre più globalizzato, che ha bisogno di produrre per consentire una vita decorosa a sette miliardi di persone? Il fisico Ezio Bussoletti, amico di gioventù oggi ritrovato grazie ai social network, scriveva in un recente articolo. “Quello che vorrei è poter ritornare all’Italia dei Fermi, dei Natta, di Adriano Olivetti per fare qualche esempio positivo: un paese rispettato e ammirato nel mondo per quello che sapeva fare e produrre. Ci siamo riusciti nel passato; possiamo farcela di nuovo oggi.” Al suo elenco aggiungerei due nomi: Palmiro Togliatti ed Enrico Mattei. Un socialdemocratico camuffato da comunista che, dai banchi dell’opposizione, non remò contro ma aiutò la ricostruzione e il boom economico italiano e un grande imprenditore pubblico, testardo e spregiudicato, che ebbe il coraggio di sfidare la mediocrità con risultati impensabili. 121220 Daniele Leoni