sabato 31 ottobre 2015

Il ponte di messina: merci coi costi della nave e i tempi dell'aereo

30-10-2015, Daniele Leoni per la Conferenza Programmatica del PSI

Messina senz'acqua
Si discute tanto, proprio in questi giorni, sul fatto che Messina sia rimasta senz'acqua. Ma la verità è che le città siciliane sono senz'acqua da sempre perché in Sicilia ogni progetto pubblico si trasforma in un'occasione per fare clientelismo, spesso con finti cantieri, per finti lavori con finti lavoratori. Cosa che non accade solo in Sicilia ma anche in gran parte del mezzogiorno d'Italia. Così gli acquedotti sono da sempre pieni di dispersioni che sistematicamente non vengono riparate. L'acqua viene immessa nella rete idrica per periodi limitati di tempo, perché gli utenti possano riempire i loro serbatoi domestici. Poi l'erogazione dell'acqua viene interrotta perché il numero di falle non consente di tenere la rete permanentemente in pressione. In Sicilia avere il serbatoio dell'acqua nel sottotetto è una cosa normale perché è normale l'intermittenza nell'erogazione. Paradossalmente i siciliani si lamentano, come sta succedendo in questi giorni a Messina, solamente quando per alcuni giorni l'acqua non arriva (a causa di qualche inconveniente in più) e le scorte domestiche non possono essere ripristinate. Ma l'erogazione intermittente è la norma.

Sicilia e Calabria: il terreno di coltura del malaffare
La stessa cosa succede per l'acqua destinata all'agricoltura a fini irrigui. La cura del territorio è carente e il dissesto idrogeologico grave. Strade e ferrovie sono in una condizione disastrosa e l'elenco potrebbe continuare per ogni comparto di competenza pubblica.
Chi sostiene la necessità di risolvere prima i problemi elementari come l'adeguamento delle reti idriche agli standard dell'Italia centro settentrionale, così come le strade e le ferrovie, destinando a queste opere primarie tutte le risorse disponibili, pretende, nei fatti, di continuare ancora per decenni, con lo sperpero di risorse senza che nulla di tangibile venga realizzato. Risorse che purtroppo finiscono nelle mani della criminalità organizzata, abilissima nella regia del dissesto e della precarietà, abilissima cioè a creare il terreno di coltura dove prosperano i peggiori affari come lo spaccio della droga, l'organizzazione dei gioco d'azzardo (dalle sale bingo alle slot machine), lo sfruttamento della prostituzione, l'usura.
I compiti a casa di Monti e Passera
Deve far riflettere il modo violento in cui è stato cancellato il progetto del Ponte sullo stretto di Messina dal Governo Monti e dall'allora Ministro Corrado Passera, nonostante la progettazione definitiva fosse stata completata, la gara pubblica regolarmente vinta e il rischio di penali miliardarie a carico dello Stato inadempiente. Inconcepibile la cancellazione del progetto del ponte di Messina, nonostante la dichiarata disponibilità della Cina Popolare ad un’operazione di project financing, non solo sul ponte, ma sull’ammodernamento delle ferrovie e dei porti da Napoli a Taranto. Il motivo? La Cina cercava un’alternativa al porto di Rotterdam per le merci provenienti dalle sue imprese, impegnate nel colossale investimento cinese in Africa. La Sicilia, con i suoi porti, avrebbe potuto diventare il punto di attracco delle navi, da cui i container sarebbero stati smistati per ferrovia verso le destinazioni in Europa e in Asia. Perché allora la cancellazione di un progetto che avrebbe potuto assegnare all’Italia il ruolo di nodo intermodale di uno dei più rilevanti flussi commerciali dell’economia globalizzata?

Torbidi interessi coincidenti
Una possibile risposta è che l’economia sottosviluppata gestita delle mafie siciliane e calabresi sarebbe stata stravolta da un intervento internazionale di tanta rilevanza. Perché le preoccupazioni della mafia, risoluta a salvaguardare la precarietà dell'economia calabrese e siciliana, cioè il terreno di coltura del malaffare, coincidevano con gli interessi degli olandesi e dei tedeschi decisi a salvaguardare il ruolo del porto di Rotterdam. Monti e Passera furono sordi e ciechi, ignorarono opportunità e convenienze italiane, soprattutto del sud. Scolaretti ubbidienti, fecero i loro compiti a casa.

I veri obiettivi dei "no ponte" e lo scampato pericolo per le mafie
Gli agitatori "no ponte", tirarono un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Il pericolo era un grande cantiere con imprese internazionali, non controllate dalla mafia, con dirigenti e tecnici non addomesticabili e soprattutto determinati ad ottenere il risultato di un'opera che avrebbe potuto far scuola. Il pericolo erano imprese determinate a scommettere sulle ricadute positive del successo ottenuto per accreditarsi nel modo e conquistare nuovi mercati. Il pericolo era un cantiere vero, di altissimo livello, impegnato per anni nell'area dello stretto di Messina, che avrebbe potuto scatenare l'entusiasmo di tanti giovani siciliani e calabresi, risoluti a partecipare al lavoro con spirito creativo e non in cerca di assistenza. Il pericolo era che, con il ritmo e l'organizzazione impressi dal ponte sullo stretto, sarebbe stato inevitabile l'allargarsi dell'intervento a ferrovie, strade e porti connessi, da Taranto a Napoli. Tutto sotto la supervisione di entità nazionali e sovranazionali impegnate nell'investimento e poco interessate al malaffare di piccolo cabotaggio come lo spaccio della droga, l'organizzazione del gioco d'azzardo, lo sfruttamento della prostituzione, l'usura. Tutto sotto la supervisione dell'Autorità Nazionale Anticorruzione.

Rimettere il treno nei binari da cui era stato fatto deragliare
Lo spirito con cui lo Stato deve ottemperare agli impegni presi con le società che hanno vinto la gara per la costruzione del ponte di Messina non è solo quello di evitare di pagare le penali, ma soprattutto la volontà di rimettere il treno nei binari da cui era stato fatto deragliare con un colpo di mano e con una violentissima attività di disinformazione.
Il ponte, come ha scritto Maurizio Ballistreri sull'Avanti!, deve essere visto come un segmento strategico per fare della Sicilia un punto fondamentale dello sviluppo del Mezzogiorno, realizzando il Corridoio transeuropeo 1. E d’altronde, proprio i socialisti hanno storicamente sostenuto il ruolo strategico dell’Area dello Stretto e della realizzazione del Ponte. Bettino Craxi, nel 1985, all’apice degli anni straordinari della sua premiership, firmò la convenzione per il Ponte, lanciando l’idea di una grande area metropolitana nello Stretto, frutto della conurbazione tra Messina e Reggio Calabria, nell’ambito di una lungimirante visione geopolitica che assegnava al Mezzogiorno d’Italia la funzione di cerniera tra la costruzione di un’Unione europea non bancocentrica e i paesi rivieraschi del Mediterraneo.

A bridge to somewhere - Dove ci porta il ponte
Giovanni Mollica, in un libro pubblicato negli Stati Uniti sulla vicenda del ponte di Messina, ci dice che fin dai primi anni 2000, le nazioni che si affacciano sul bacino del Mediterraneo avevano mostrato segni di insofferenza verso il predominio dei porti del nord Europa che avevano occupato un ruolo centrale nella gestione dei flussi mercantili da e per l’Europa, nonché della ricchezza prodotta dagli stessi, assolvendo il ruolo di piattaforma logistica mediterranea. Un nonsenso geografico fondato sia sull’efficienza dell’organizzazione dei loro porti e della rete ad essi connessa, sia sulle carenze infrastrutturali dei Paesi mediterranei, Italia in testa. Un esempio permette di comprendere meglio in cosa consiste il paradosso appena accennato: le merci dirette in Europa e provenienti dal Far East ammontano a quasi 500 miliardi di euro all’anno e, nella stragrande maggioranza, sono trasportate su gigantesche navi porta container che attraversano il Canale di Suez. Oltre il 70% di queste merci è sbarcato negli scali del Northern Belt piuttosto che in quelli dell’Europa mediterranea, preferendo percorrere una rotta di migliaia di miglia più lunga piuttosto che approdare negli scali mediterranei.
L’incidenzai di questi giganteschi flussi commerciali tra l’Europa e il resto del mondo sull’economia dei rispettivi Paesi è notevolissima. In Germania, la così detta “Logistica integrata” – così è chiamata la scienza che gestisce l’intera catena di trasporto e distribuzione delle merci dal luogo di produzione al punto finale di vendita, considerata come un’entità unica invece che un complesso di funzioni logistiche separate - costituisce il terzo datore di lavoro, dopo l’industria automobilistica e quella chimica, con oltre due milioni e mezzo di addetti. In Paesi più piccoli, come Paesi Bassi e Belgio, le attività collegate ai porti di Rotterdam e Antwerp contribuiscono per percentuali molto rilevanti al prodotto nazionale e alla bilancia dei pagamenti. Non è un caso che abbiano resistito meglio degli altri Stati europei alla crisi che ha colpito il mondo dal 2008 in poi.

L'Italia non vuole essere un muro
Uno sguardo alla mappa dei flussi merci provenienti dal canale di Suez mostra come l'Italia, nonostante sia un ponte naturale fra l'Africa e l'Europa continentale, venga esclusa dalla quasi totalità del traffico.
Il raddoppio del Canale di Suez porterà nuova linfa ai traffici navali a poche miglia dalle coste siciliane e calabresi. Quali saranno i porti italiani che ne godranno e quanta parte toccherà a ciascuno, lo deciderà la Politica. Una prima risposta fortemente punitiva per l’estremo Sud l’ha data il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica recentemente approvato; ma né i media né le forze politiche le hanno dato il dovuto peso. La destinazione a “porti di scambio” (transhipment) mette fuori gioco gli scali siciliani e calabresi, sempre più schiacciati dalla concorrenza dei nuovi giganti africani e di un Pireo interamente in mano ai cinesi. Né la dimensione regionale riesce a compensare questa mancanza di competitività quando i territori serviti non producono e non consumano. E' inutile e pericoloso illudersi e illudere la gente inseguendo il sogno di una crescita socioeconomica irrealizzabile. Rotterdam è il primo porto d’Europa perché, oltre ai ricchissimi territori circostanti, serve mezza Italia attraverso una veloce, economica e capillare rete di trasporto. Se il Governo vuole evitare che il grande porto della Piana di Gioia Tauro si spenga lentamente, deve avviare subito lavori per collegarlo alla rete ferroviaria ad alta velocità europea. E se vuole spezzare il tragico isolamento che ha portato la Sicilia a essere la regione dell’Ue col più basso tasso di occupazione, deve riprendere subito l’iter di realizzazione del Ponte sullo Stretto. Senza questi due provvedimenti, le prospettive di sviluppo sono prive di credibilità.

Treno = velocità = costi bassi = valore
L'ultimo argomento è quello della velocità del trasporto merci. Le tratte ferroviarie ad alta velocità hanno tempi assimilabili al trasporto aereo e costi assimilabili a quelli della nave. Se le tratte navali sono più corte aumenta la velocità di consegna e quindi il valore del servizio a parità di costi. La collocazione geografica dell'Italia, della Sicilia in particolare, genera un valore aggiunto formidabile nell'economia dei prossimi decenni, valore che giustifica un adeguato investimento. Noi italiani, aziende pubbliche e private, abbiamo il dovere di svegliarci dal torpore che altri vogliono imporci e che, dalla metà degli anni 60, tentano di confinarci in un ruolo di maitre d'hotel.

L'Africa, il futuro dello sviluppo
Enrico Buemi, in una discussione su facebook del febbraio scorso, sosteneva che il ponte di Messina oltre ad auto finanziarsi, diventerebbe un biglietto da visita delle capacità tecnologiche e produttive italiane e un simbolo nel mondo. Sarebbe un prolungamento del continente verso l'Africa, farebbe diventare Italia la Sicilia e tante altre cose ancora. Sposterebbe il baricentro verso sud, verso l'Africa che è il futuro di questo secolo.
In Africa sarà un futuro di sviluppo, quando si placheranno i venti di guerra così come si sono placati quelli europei dopo la seconda guerra mondiale.
Così crolleranno gli ultimi muri.