mercoledì 30 ottobre 2013

Adriano Olivetti: che la forza sia con noi!

La CIA riunita per decidere sul destino di Adriano Olivetti (Rai Fiction)
Gli spioni americani, impersonati da una bella fotografa, ufficiale dell’aeronautica americana, salvata da Adriano Olivetti durante la guerra, fanno parte di una licenza poetica che gli autori di Rai Fiction si sono concessi. Per il resto “La forza di un sogno” è una storia tutta vera. Sono veri gli ideali, il background culturale, la competenza tecnica, il coraggio e i sentimenti che il bravo regista Michele Soavi è riuscito a trasmettere al pubblico. Sono veri anche i nemici di Adriano cioè le caste finanziarie e i poteri consolidati che vivono di rendita, siano essi italiani o stranieri, siano essi pubblici o privati. Che cosa fece paura dell’azione di Adriano a questi nemici? Senza dubbio la capacità di generare un’impresa con un margine primario enorme dovuto all’innovazione spinta delle tecniche produttive e al coinvolgimento affettivo ed emotivo alla fabbrica delle maestranze. Senza dubbio la capacità di destinare quel margine a finalità sociali, per elevare ad altezze impensabili la qualità della vita di tutto lo staff, che crebbe nel numero fino a decine di migliaia di lavoratori. Infine la capacità di utilizzare la felicità dei suoi dipendenti come motore per la qualità del prodotto e moltiplicatore dell’efficienza produttiva. Adriano Olivetti non fu un freddo amministratore di interessi di famiglia, di quegli interessi che spesso degenerano nell’avidità e, alla lunga, danneggiano anche le migliori intuizioni imprenditoriali.
Adriano (Luca Zingaretti) decide l'ok definitivo al calcolatore Elea (Rai Fiction)
Era molto ambizioso, di un’ambizione smisurata, tanto che per lui contavano poco le decine di case, di barche, di aerei privati, di escort da esibire alle feste milionarie, di cui molti imprenditori stranieri e nostrani amano circondarsi. Lui voleva di più, voleva il cuore e l’anima dei suoi. E a quel cuore e a quell’anima era capace di adattarsi. Scriveva con la penna stilografica ma i suoi fabbricavano le macchine per scrivere più belle ed efficienti del mondo. Amava l’arte, la filosofia, le scienze umane eppure era ingegnere e accettò di investire per costruire Elea, il primo calcolatore a transistor del mondo. Lo fece con il conforto di Enrico Fermi e con la collaborazione dell’ingegnere, di origine cinese, Mario Tchou che, nel 1961, morì in un incidente stradale, all’età di 37 anni, mentre si recava in Olivetti. Morì esattamente un anno dopo Adriano che fu colpito da un malore in treno. Furono troppi gli incidenti in quel periodo, troppe coincidenze. Quello più eclatante uccise Enrico Mattei che precipitò col suo aereo, nel 1962, vicino a Pavia. La licenza poetica del rocambolesco complotto CIA, che fa da contrappunto al romanzo in due puntate trasmesso da Rai Uno, è il messaggio, non tanto cifrato, che gli autori consegnano al popolo italiano. Non fu spiato e combattuto perché era socialista, amico di Filippo Turati che contribuì a liberare assieme a Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini e per questo fu costretto a fuggire in Svizzera durante gli anni della guerra. Fu spiato e combattuto perché era straordinariamente bravo, capace di farsi amare. E far amare la sua fabbrica tanto da generare un margine primario del mille per cento sui prodotti di punta, come le calcolatrici meccaniche. Se avesse trasferito questa capacità sull’elettronica, dove il costo della materia prima è irrisorio, oppure sull’informatica, dove il costo è zero? Dove gli unici investimenti sono umani, di intelligenza, creatività, intuizione? Tutte qualità per le quali il popolo italiano ha primeggiato nel corso dei secoli e fatto scuola al modo. Eccolo il messaggio che mette in primo piano il fattore umano disatteso, nel corso dei decenni successivi, dai Valetta, Agnelli, De Benedetti, Cuccia, Romiti … L’elenco potrebbe essere lunghissimo. Poiché il romanzo storico, che oggi chiamiamo fiction, è mille volte più efficace sull’immaginario collettivo che non l’esposizione asettica e rigorosa della vicenda, il successo di “Adriano Olivetti: la forza di un sogno” potrebbe scuotere questo nostro Paese dal torpore. Come lo fecero, a partire dal 1964, i romanzi di Cronin sceneggiati dalla giovane televisione. Come La Cittadella, col grande Alberto Lupo, con le miniere della rivoluzione industriale inglese, le lotte dei lavoratori e anche i primi barlumi di evoluzione, in senso sociale, dell’impresa. 131030 Daniele Leoni

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Pubblicato da Il Calcestruzzo

lunedì 28 ottobre 2013

Nessuna congiura, solo politici “dabbene” e un’Italia addormentata.

Il mio intervento pubblicato da LsBolg.it
LsBlog, il seguitissimo giornale online, ha pubblicato il mio intervento su Porta a Porta e il sogno di Adriano Olivetti. Lo ha fatto con un commento del suo direttore Marco Cavallotti. Scrive Cavallotti: “Olivetti rappresentò certamente un momento molto interessante della storia industriale del nostro dopoguerra. E tuttavia, non credo che si faccia un buon servizio alla storia del nostro paese adottando, come avviene troppo spesso, il sistema interpretativo “della congiura”. Tutto quello che in Italia va male, va male per colpa di forze occulte ed avverse, altrimenti chissà come staremmo bene... La concorrenza industriale è certamente un elemento fondamentale nel valutare la parabola della Olivetti. Ma concorrenza c'era anche con Adriano Olivetti in vita, eppure l'Olivetti continuava a crescere ed a mietere successi in Italia e all'estero. Fu dopo la sua morte che il declino cominciò assai rapidamente: mi parrebbe il caso di chiedersi se la nidiata di manager “nuovi” cresciuti in Olivetti fosse all'altezza della situazione, o se non mancasse di quella cultura imprenditoriale e industriale che aveva consentito ad Adriano le sue politiche di stampo “umanistico” senza per questo frenare l'impulso di crescita propriamente industriale ed economica. Se in sostanza i signori in questione non fossero più intellettuali – magari con qualche esagerazione – che imprenditori. Ovvio che tutti, con una voce sola, preferiscano oggi optare per l'ipotesi della congiura e del fato avverso. Stimo e apprezzo spesso i commenti di Sapelli: ma da storico qual è, lui per primo dovrebbe sapere che bisognerebbe esibire qualche documento, prima di invocare la tesi della congiura. E a questa distanza di tempo, i documenti e le prove dovrebbero cominciare a saltar fuori. Credo poi che si sottovaluti il ruolo svolto da forze politico-sindacali e imprenditoriali tutte italiane: e forse la rilettura delle tesi ufficiali dei sindacati di allora (e forse anche quelle di oggi) potrebbe costituire un buon avvio. Parole come “cogestione” provocavano brividi di odio e di orrore... La concorrenza internazionale c'è sempre stata e ci sarà sempre. Il problema sta nel saperla contrastare e magari anche vincere, senza considerarla una congiura a nostro danno. È, più semplicemente, una guerra combattuta con altri mezzi.”
Così Marco Cavallotti. Non potevo non rispondere, allora ho replicato.
Enrico Mattei partigiano
"Caro Marco Cavallotti, sono d’accordo che il sistema interpretativo della congiura non è un metodo che funzioni per l’analisi storica. Però i fatti sono fatti. La mia è solo una riflessione su quello che avvenne dopo la scomparsa di Adriano Olivetti e un resoconto ragionato della trasmissione Porta a porta di mercoledì 23 ottobre. Ringrazio LsBlog per lo spazio che mi ha dedicato e non vorrei approfittarne. Adriano Olivetti , nel 1960, con la sua scomparsa, lasciò una voragine nell’Italia dell’ultimo rinascimento, quello del boom economico dopo la ricostruzione. Nella voragine si inserirono forze economiche potenti abituate al gioco sporco. Così l’assassinio di Enrico Mattei del 1962 sortì il risultato della demolizione della cultura industriale che accomunava Mattei e Olivetti. Mattei era anche erede e braccio armato di Alcide De Gasperi nell’economia della ricostruzione. Un uomo che non si fermò nemmeno un attimo dopo la morte, nel 1954, del padre culturale e politico. Un altro padre della Patria morì prematuramente in quei primi anni sessanta, anch’egli in modo inaspettato e improvviso, nel 1964, esattamente dieci anni dopo la scomparsa del suo grande avversario politico.
Palmiro Togliatti assieme a Nilde Jotti negli anni 50
Era Palmiro Togliatti, il comunista che salvò l’Italia dal comunismo! Venne aperta un’altra voragine. Felice Ippolito, comunista, braccio armato di Togliatti nell’economia, alter ego di Mattei nel comparto nucleare, attivo col suo CNEN anche nella ricerca mineraria di uranio all’estero, analogamente all’ENI per la ricerca petrolifera, venne sbattuto in galera con una scusa! Senza Togliatti a difenderlo, venne condannato alla velocità del fulmine, al 11 anni di carcere. Ne scontò due poi fu graziato dal Presidente Saragat. Riabilitato, Nel 1968 fondò e diresse la rivista Le Scienze, versione italiana di Scientific American. Eletto al Parlamento Europeo nelle liste del PCI vi rimase fino al 1989. Ma per il nucleare italiano fu la fine. Romano Prodi scriveva il 28 febbraio 2010 su Il Messaggero: “Io sono stato fra i pochi che hanno votato a favore del nucleare. L’ho fatto in piena coscienza, per la convinzione che un Paese come l’Italia non potesse e non dovesse uscire da un settore in cui aveva investito tante risorse e in cui, tramite migliaia di tecnici e scienziati, aveva accumulato un’esperienza e posizioni di eccellenza invidiate nel mondo. Di tutto ciò è rimasto poco o nulla. Non abbiamo più, checché se ne dica, un’industria capace di costruire una centrale. Abbiamo smantellato la più parte delle scuole specializzate in materia di tecnologie nucleari e gli studenti di ingegneria nucleare sono ridotti a poche decine in tutto il Paese. Per decenni infatti non avevano alcuna possibilità di trovare un lavoro in questo campo in Italia. Abbiamo infine cancellato tutte le strutture pubbliche deputate a controllare la sicurezza, dato che l’ultima licenza concessa risale al 1971 e non abbiamo più le competenze nelle istituzioni responsabili per le licenze e le procedure di costruzione. Abbiamo, in sintesi, distrutto quasi tutto il sapere scientifico, gestionale, industriale e istituzionale necessari per costruire una filiera nucleare.” La stessa cosa, secondo la filosofia di Romano Prodi, la si potrebbe dire per la chimica, l’elettronica, la siderurgia , l’industria alimentare e anche per le infrastrutture. Che bell’esempio d’insipienza e di faccia tosta da parte di chi è stato uno dei primi responsabili del declino italiano! Le testimonianze di Ferrarotti, Sapelli e Della Valle a Porta a Porta hanno messo l’accento sulla voragine che è politica, culturale, giudiziaria prima che economica. Lo hanno fatto di fronte a milioni di telespettatori. Seguirà la fiction con Luca Zingaretti che scuoterà il popolo italiano da un torpore durato cinquant’anni. Almeno spero."
Nemmeno il tempo di postare e la risposta di Cavallotti è già arrivata.
Carlo De Benedetti che preferì sempre la finanza all'eccellenza del prodotto.
“Giusto, gentile Daniele Leoni, i fatti sono fatti, e la storia è un'altra cosa. Ripeto, bisognerebbe capire quali sono le cause di tutti questi fallimenti. E passi per la morte di Mattei, sulla quale grava un sospetto di attentato che non so se mai si trasformerà in certezza. Il mondo delle risorse energetiche è a volte spietato, e anche un assassinio potrebbe starci. Ma tutto il resto, confermo, mi pare più frutto di scarsa capacità imprenditoriale o di guerriglia interna e nazionale – una guerriglia che non si è mai fermata – che di un disegno delle multinazionali o dei Paesi che “progettano la divisione del lavoro” (progetto che se c'è sta in piedi con la collaborazione di ogni paese...). Quello che lei chiama padre della patria – Togliatti, al quale io invece attribuirei la gravissima responsabilità di aver proseguito la battaglia contro la socialdemocrazia e di aver così perpetuato il ritardo nella sinistra italiana iniziato nel 1921 con la scissione di Livorno e la nascita del Pci – può ben essere annoverato tra coloro che si batterono contro quei criteri di cogestione – così socialdemocratici, stavo per scrivere “socialfascisti”, come dicevano lui e i suoi amici – che avrebbero costituito una delle forze propulsive del capitalismo tedesco. Ma su di lui e sui suoi rapporti con gli Italiani basterebbe ricordare le luminose esperienze all'Hotel Lux... Può darsi benissimo, e i documenti non dovrebbero mancare, che guerra contro Ippolito si possa collocare nello scontro sordo fra democristiani e comunisti. Ma la guerra contro Ippolito si trasformò presto in una guerra ideologica contro il nucleare che coinvolse buona parte degli Italiani, in una visione pauperista, arcadica e alla lunga suicida del loro futuro. E allora, a meno di ritenere che siano stati gli Italiani a congiurare contro se stessi, i conti dovrebbero essere fatti con un mondo e una cultura tutti nostri, anche se certo in tutto questo qualcuno che ci ha guadagnato c'è certamente, e non sono gli Italiani. Tornando alla Olivetti, inviterei gli storici di professione a dedicarsi – come del resto fanno – ad analizzare la cultura industriale e lo spirito imprenditoriale degli eredi di Adriano: il quale amava circondarsi, più che di capitani di industria magari un po' rozzi, ma attivi e dinamici, e a volte perfino aggressivi, di intellettuali senza grande competenza specifica né di tipo tecnico, né di tipo manageriale. Come accennava Ursus, le scelte produttive dell'Olivetti fra gli anni '70 e '80 costituirono una serie gravissima di errori, e un segno altrettanto grave di miopia sul futuro di quel settore industriale: magari favorita dai sempre più insensati aiuti di stato, forniti nel modo peggiore, ossia acquistando attrezzature nate obsolete e spesso mai utilizzate. Tutti errori che Olivetti non avrebbe fatto, perché oltre che dotato di una nuova visione delle relazioni industriali, aveva anche un solido spirito imprenditoriale. Grazie comunque per aver aperto una discussione interessante: per queste c'è sempre spazio su LSBlog, come ce n'era sempre su Il Legno Storto.”
Accetto l’invito. Alla prossima allora caro Marco Cavallotti. Adesso vediamo la Fiction Rai di Zingaretti che, sono sicuro, avrà l’impatto sull’immaginario collettivo italiano paragonabile a ”La cittadella” di Cronin interpretata, per la televisione italiana, dal grande Alberto Lupo nel 1964. 131028 Daniele Leoni

giovedì 24 ottobre 2013

“Porta a porta” e il sogno di Adriano Olivetti

L'Olivetti P101 adottato dalla NASA per lo sbarco sulla luna
“E’ la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente!” – Ed Hutchinson, giornalista idealista del film “L’ultima minaccia”, coperto dal frastuono delle rotative, urlava al mafioso che voleva comprare la sua libertà. La frase è rimasta nell’immaginario collettivo per simboleggiare la forza immensa delle idee positive, propulsive e libere. Non c’è ricatto, corruzione, delitto o minaccia che possa sconfiggere, alla lunga, quelle idee. E’ il ticchettio della macchina per scrivere che fa da contrappunto alla storia meravigliosa di Adriano Olivetti che, da Ivrea, negli anni Cinquanta conquistò la leadership del mercato mondiale dell’office automation, portando la sua fabbrica ad impegnare 32mila persone. Fu primo, per efficienza produttiva e per qualità della vita dei suoi dipendenti, qualità che si trasferiva, come per magia, nella qualità del prodotto. Un margine primario enorme gli dava la possibilità di fare enormi investimenti. Partì con una piccola industria che, in poco più di dieci anni, diventò immensa. Proprio mentre stava lavorando al passaggio dalla meccanica verso la nascente elettronica, fu stroncato da morte improvvisa e inaspettata, all’età di 59 anni, il 27 febbraio 1960. La sua scuola e la sua eredità mantennero l’Olivetti di Ivrea a livelli di leadership per un decennio ma, subito dopo la sua morte, la crescita rallentò fino ad imboccare un inesorabile declino. “Fu colpa della divisione internazionale del mercato del lavoro che non poteva consentire all’Olivetti il primato nell’elettronica e nei computer”, ha detto l’economista Giulio Sapelli a “Porta a Porta” di fronte ad uno sconcertato Bruno Vespa e a un vulcanico Franco Ferrarotti, il sociologo che, di Adriano Olivetti, fu amico e collaboratore fin dal 1945. Anche se la forza delle intuizioni poteva vincere il dispiegamento immenso di risorse messo in campo dall’americana dell’IBM, “l’Italia era destinata a diventare una potenza industriale di serie B, e non di serie A come stava facendo negli anni Cinquanta con l’Olivetti. Nel settore petrolchimico con Enrico Mattei e nel comparto nucleare con Felice Ippolito. In quegli stessi anni qualcuno pensò di fermare l’Eni assassinando Enrico Mattei, e la filiera nucleare italiana incarcerando Felice Ippolito, con una scusa.” Intanto Adriano Olivetti era già passato a miglior vita. Franco Ferrarotti condivide l’opinione di Sapelli confermata “da quanto riuscii a capire – dice – nei miei frequenti viaggi negli Stati Uniti. Non era un sogno quello di Adriano Olivetti, ma un progetto razionale. Lui aveva capito l’enorme potenzialità dell’elettronica applicata. Morto lui però cessarono i nostri investimenti in quel settore. Poi ci fu un veto politico americano preciso accettato dalla nostra classe politica”.
Questo articolo, il primo della mia collaborazione con l'Avanti!
In Olivetti, come nell’Eni dopo la morte di Mattei, si tese a cancellare la memoria e la scuola impressa al gruppo dirigente. “Ci fu, nel periodo di Carlo De Benedetti, una oscillazione. Non c’era una visione chiara della strategia. Vennero fatti forti investimenti in Belgio. Se quei capitali fossero stati impiegati in Italia nell’elettronica le cose sarebbero andate diversamente. Vennero inferte anche delle ferite alla nostra identità. Si decise, in quegli anni, di mandare al macero la biblioteca Olivetti”. “Ma perché questo disastro?”, chiede sconcertato Bruno Vespa. “Perché si voleva cancellare la memoria di Adriano Olivetti” risponde Ferrarotti. Diego Della Valle spiega che vi è una categoria di imprenditori e di manager, quelli che preferiscono manovrare il denaro piuttosto che pensare alla miglior produzione possibile, che sono allergici alla creatività del fare. Quindi si aggiunsero, ai dictat internazionali, anche forti resistenze interne. ”Porta a Porta” non ha avuto la possibilità di andare avanti nel tempo, fino agli anni Ottanta di Bettino Craxi, e alla pesante situazione che dovette ereditare, non ultime le ipoteche straniere alla nostra sovranità nazionale. E avanti ancora, fino al castigo che fu inferto a Bettino per non aver voluto soggiacere a condizioni che condannavano l’Italia alla serie B. Che oggi, dopo cinquant’anni, si dica finalmente la verità di fronte a milioni di telespettatori è un buon segno. Lunedì e martedì ci godremo il film sulla storia di Adriano Olivetti “Il sogno Italiano”, con Luca Zingaretti nei panni di Adriano e Francesca Cavallin nei panni della moglie Paola. Il film e il romanzo hanno un impatto mille volte superiore sul pubblico che non una asettica narrazione storica. Anche questa “E’ la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente!”
131024 Daniele Leoni

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lunedì 21 ottobre 2013

Silvio Scaglia ha vinto. Ha vinto l'Italia del fare!

L'imprenditore Silvio Scaglia assolto con formula piena da tutte le accuse.
In tempi non sospetti quando, in Italia, non solo i Pm aguzzini ma anche tanti giornalisti ammalati d'invidia pruriginosa godevano per la pena preventiva inflitta ad un imprenditore, presunto untore miliardario, scrivevo queste righe che sono rimaste fra le mie note su Facebook. https://www.facebook.com/notes/daniele-leoni/silvio-scaglia-in-carcere-per-la-superbia-di-essere-italiano/10150162932360076
Era il 10 maggio 2010. Da poco più di due mesi Silvio Scaglia era rientrato a Roma dalle Antille, con un volo privato, per dimostrare la sua innocenza ai giudici che lo accusavano. Come ricompensa, lo fecero marcire in una cella in isolamento. Ero indignato ma nessuno mi dava retta.
Scrissi un messaggio nel suo blog http://www.silvioscaglia.it/ e affidai i miei pensieri a Facebook. Ora che Silvio Scaglia è sto assolto con formula piena, pubblico questi pensieri nel mio blog.

10 maggio 2010 alle ore 16.10. Silvio Scaglia. Sconta la superbia di essere tornato, con un aereo personale, non appena conosciuta la notizia di essere indagato. In carcere da 73 giorni, 10 ore, 7 minuti, 30.. 31.. 32.. secondi. E' il contatore che apre il suo blog. Sconta la superbia di essere tornato, con un aereo personale, non appena conosciuta la notizia di essere di nuovo indagato. L'accusa: "Associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale e dichiarazione infedele mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti". IL medesimo addebito che gli era stato contestato nel marzo 2007, nel corso della prima fase dell’inchiesta, terminata nel 2009 con una archiviazione per mancanza degli elementi di prova. I fatti sono gli stessi e da allora non risultano ulteriori elementi a carico. Il magistrato è convinto però che Scaglia, in qualità di amministratore delegato di Fastweb, non poteva non sapere della frode consumata ai danni di Fastweb e dell'erario (operazioni di compravendita e traffico telefonico, che integrerebbero ipotesi di frodi fiscali ‘carosello’). Scaglia invece sostiene che il suo mestiere era ed è quello di lavorare alle strategie, alle opportunità di sviluppo. Per il sottobosco truffaldino che, inevitabilmente, tende ad attecchire attorno ad ogni impresa di successo, ci sono i servizi di controllo, il personale ispettivo e gli uffici legali. Il presidente o l'amministratore di una società in crescita, con migliaia di addetti, non può fare il poliziotto. Rischierebbe di venire distratto dalla sua missione rivolta alla crescita del business, della ricchezza dell'azienda, dei soci, dei fornitori e dei dipendenti. Un imprenditore di successo, uno di quelli che preferisce la tecnologia alla finanza, è talmente preso nel creare e nel curare la squadra della sua attività, che fatica ad accorgersi dei malintenzionati. Non vede le manovre disoneste di chi vive alla giornata. Non capisce i limiti del cervello di chi non essendo capace di pensare al futuro, rimane incollato a un presente di intrighi e di raggiri! E' questo il tratto caratteriale di Silvio Scaglia, separato da un abisso siderale dal magistrato che lo accusa. Il magistrato è uno sbirro, educato al sospetto, inchiodato ai delitti della parte bassa della società, preoccupato di infliggere le pene ai delinquenti. Lui, il magistrato, non ha mai volato nei cieli del fare, fatica a capire la vertigine della torre alta, del ponte ardito, della rete informatica che connette assieme milioni di cervelli affini e li aiuta a pensare i modo sincrono! E' una guardia che, per catturare il reo, deve per forza volare basso, all'altezza del ladro. E se il sospettato si chiama Felice Ippolito, Enzo Tortora, Raul Gardini, non importa, viene spinto giù, giù sempre più in basso, a respirare la polvere, a inghiottire il percolato della discarica più velenosa. Così il reo o confessa o, prima o poi, muore. Può morire civilmente come fu per Ippolito, incarcerato, graziato, poi condannato a non occuparsi più di nucleare. Può morire dopo, di cancro psicosomatico, come fu per Enzo Tortora. Può morire prima, come fu per Raul Gardini, che preferì una pallottola alla tempia al colloquio col magistrato. Non contano i meriti del sospetto reo. Non importa se con le sue aziende ha creato migliaia di posti do lavoro. Non interessa se è stato il pioniere del cablaggio in fibra ottica e ha fatto un gran bene all'economia nazionale. Vorrei dire a Silvio Scaglia: "Sono dalla tua parte. Un po' perché anch'io fui vittima, da imprenditore tecnologico, dell'arroganza del potere. Un po' perché ho dei figli e sono preoccupato del futuro. Ma sopratutto perché la storia dice che c'è sempre una prima volta! La prima volta che il fare prevale sull'amministrare. Che i progresso prevale sulla tradizione. Che il buon senso prevale sul fondamentalismo. Tante prime volte. Che questa sia la tua, anzi la nostra come Paese." La prima volta del lavoro che vince sul sospetto e sull’invidia. 131021 Daniele Leoni

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giovedì 10 ottobre 2013

La telefonata e il Nobel per la Pace del prossimo anno.

Laura Cesaretti de Il Giornale, conduttrice di Radio3 Prima Pagina.
“Perché è una giusta causa aiutare il prossimo ed aiutare chi lo aiuta” è la frase scritta da Matteo che motiva la sua firma nella petizione che chiede venga assegnato il Nobel per la pace 2013 ai cittadini di Lampedusa. E’ una firma depositata elettronicamente, tramite change.org, la piattaforma più sofisticata e friendly per le petizioni online. Nome, Cognome, residenza, e-mail, assieme alla frase, vengono assemblate con una richiesta, inoltrata via posta elettronica, all’indirizzo del premio Nobel per la Pace a Oslo. Il motivo, condiviso da tutti i firmatari, è che “i cittadini di Lampedusa hanno dimostrato, anno dopo anno, sbarco dopo sbarco, naufragio dopo naufragio, di essere generosi, coraggiosi ed eminentemente umani.” L’autrice della Petizione Change che chiede di assegnare il Nobel per la pace 2013 ai cittadini di Lampedusa è Serena Uberti, appassionata di penna e di tastiera, navigatrice della rete, mamma di due bambine, Bresciana e cittadina del mondo. Io e Serena abbiamo subito attivato una intensa collaborazione perché le nostre iniziative in rete si integravano. La mia, vecchia di oltre due anni, rinfrescata a causa dell’immane tragedia di una settimana fa, che utilizza Facebook come piattaforma e consente agli amici di organizzarsi, confrontarsi assieme e condividere gli obiettivi. La sua, mirata alla gestione della petizione, alla raccolta delle adesioni e all’inoltro in tempo reale del flusso al destinatario: nel nostro caso il Nobel di Oslo. Detto fatto. Senza muoverci dalle nostre scrivanie, lei a Brescia e io a Ravenna, abbiamo condiviso in poche ore i flussi. Facebook si integra facilmente con Change e le adesioni hanno incominciato a transitare, non senza il solito corollario di commenti, perplessità e contributi operativi. I messaggi arrivavano al Nobel di Oslo e qualcuno del Comitato si è accorto di noi. Anche l’Espresso ha messo in rete una petizione per la raccolta delle firme per il Nobel a Lampedusa, con una cassa risonanza mille volte più potente della nostra, la forza economica e organizzativa del primo gruppo editoriale italiano. I contenuti sono simili ma con due differenze abissali. La richiesta è per il 2014, cioè fra un anno e la piattaforma proprietaria, confezionata dall’Espresso, non genera alcun flusso verso Oslo. Tutto rimane in casa loro pronto per essere impacchettato e consegnato il prossimo febbraio. Nessuno dei firmatari della petizione Espresso, che intanto ha raccolto, con questo criterio, 50 mila adesioni, si rende conto che la richiesta non è per il Nobel che sarà assegnato il prossimo 11 Ottobre, ma per quello che sarà assegnato fra un anno. Martedì, alle sette del mattino, ho inviato un messaggio a Prima Pagina, la popolare rassegna stampa di Radio3, seguito da un tweet che è stato subito rilanciato. Allora ho telefonato e ho spiegato, in diretta, che c’è per tutti la possibilità di richiedere il Nobel per il 2013 con un flusso reale, che può influenzare subito la decisione.
Bruno Manfellotto, direttore de L'Espresso
Dopo pochi minuti squilla il mio telefono: è Bruno Manfellotto, il direttore dell’Espresso, che mi chiede ragione dell’intervento per radio. Gli dico che la richiesta per il 2014 è sbagliata perché, per avere successo, ci dovrebbe essere una nuova immane catastrofe nei mari di Lampedusa a scuotere l'opinione pubblica mondiale. In un anno è possibile che succeda qualche cosa di tremendo altrove, che altrove altri cittadini siano altrettanto generosi, coraggiosi ed eminentemente umani. Oppure è possibile, nei prossimi mesi, che un capo di Stato di fede islamica si impegni seriamente per disinnescare la mina vagante dello scontro di civiltà. E abbia successo. “Tutti noi ne saremmo felici, vero Direttore? Potremmo negare, come conseguenza, il Nobel per la Pace a quel Capo di stato?” Debbo ammettere che Bruno Manfellotto è stato d’accordo con me!
131009 Daniele Leoni

Il link al Podcast di Radio3 Prima Pagina dove c’è la mia telefonata a 11' e 18" è http://goo.gl/STnnD0
Il Link alla pagina Facebook che chiede di assegnare il Nobel per la Pace 2013 a Lampedusa è https://www.facebook.com/groups/nobel.pace.lampedusa/ 
Il link per firmare la petizione per il Nobel 2013 è http://chn.ge/1f9ZJDJ

Leggi anche:  Per Lampedusa un Nobel Espresso.
 


Pubblicato anche da l'Avanti! http://www.avantionline.it/2013/10/la-telefonata-e-il-nobel-per-la-pace-del-prossimo-anno/#.UlcMuRDInbw

lunedì 7 ottobre 2013

Per Lampedusa un Nobel Espresso.

Carlo De Benedetti, editore dell'Espresso.
Mentre scrivo L’Espresso ha già raccolto 51 mila firme per la petizione che candida Lampedusa al Nobel per la Pace, premio che verrà assegnato dal Comitato Norvegese per il Nobel il prossimo 11 ottobre. La proposta è attiva a partire dal 30 Marzo 2011, quando il Presidente Silvio Berlusconi l’annunciò in un discorso ai cittadini. Allora Lampedusa venne invasa da migliaia di disperati che fuggivano dagli effetti delle primavere arabe e arrivavano, mezzi morti, sulle sue spiagge. L’accoglienza della popolazione impressionò il mondo. Tutti si fecero in quattro per rimediare un pasto caldo, una coperta, una giacca a vento, una maglietta e un paio di jeans. Non un atto di violenza, non una parola di troppo. Poi la primavera araba si mutò in estate, quindi in autunno, e i venti di guerra si placarono. Anche gli sbarchi a Lampedusa cessarono e si cessò di parlare del Nobel per la Pace. Fino a quando, pochi giorni fa, una immane tragedia ha portato sull’isola, oltre ai fuggiaschi vivi, centinaia di cadaveri. Allora, assieme alle polemiche sulle regole dell’immigrazione, è ritornata d’attualità la proposta del premio Nobel per la Pace. Finalmente, direte voi, che L’Espresso opera in sintonia con il sentimento comune senza far differenza fra destra e sinistra. Il Nobel per la Pace l’ha chiesto anche il Ministro Angelino Alfano pochi giorni fa, proponendo di impegnare l’Unione Europea il cui Presidente sarà a Lampedusa mercoledì. C’è però un particolare: la raccolta di firme dell’Espresso chiede il premio per il 2014. Fra un anno!
Serena Uberti, promotrice del Nobel per la Pace 2013 a Lampedusa
Ho capito. Che senso ha, allora, raccogliere 50 mila firme per il 2014 quando ottenerle subito comporta le stesse difficoltà? Se non si ottiene il risultato, non si possono sempre tenere buone, quelle firme, per l'anno successivo? L'unico senso che ha l’iniziativa dell’Espresso è sparare in aria solo per far rumore. E’ un modo per far saltare l’iniziativa sfruttando la nostra buona fede! 131017 Daniele Leoni

E' in corso invece la raccolta delle firme a sostegno della Petizione per il Nobel per la Pace 2013 a Lampedusa. L'iniziativa è di Serena Uberti che ci tiene a definirsi "una cittadina che di dietrologie non sa e non vuole sapere niente. A lei interessa solo l'attenzione e l'azione. Ora."
Il link per firmare è http://chn.ge/1f9ZJDJ. Cliccando qui potete entrare nel gruppo di sostegno e nella pagina evento su Facebook.

NOBEL PER LA PACE A LAMPEDUSA.
Rado3 Prima Pagina ha mandato in onda la mia telefonata di promozione del nostro gruppo e mi ha retwittato due volte!. Fra poco pubblicherò l'audio su youtube. Questo è il link al podcast. La telefonata è a 11 minuti e 18 secondi. http://goo.gl/STnnD0
Fra l'altro la conferma che il Nobel lo decidono all'ultimo momento c'è stata la mattina dell' 08/10/2013. Hanno rinviato, di qualche ora, la decisione sul Nobel per la Fisica perché non erano ancora d'accordo!

Articolo pubblicato anche da IL FOGLIO
http://www.ilfoglio.it/hydepark/archivio/27404

domenica 6 ottobre 2013

Nobel per la Pace a Lampedusa: un progetto di nuovo attuale.

Alla fine di febbraio 2011, quando Lampedusa venne invasa dai profughi della guerra in Libia e i residenti si fecero in quattro per accogliere una folla di disperati, feci un gruppo su Facebook che candidava l’isola al Nobel per la Pace. Lo feci una settimana prima che Silvio Berlusconi, che allora era Presidente del Consiglio, proponesse Lampedusa, oltre che per il Nobel, anche per una moratoria fiscale perché diventasse zona franca, laboratorio di turismo d’elite, ospitasse un casinò e un campo da golf. A dir la verità la mia proposta immaginava, a Lampedusa, un altro tipo di laboratorio. Siccome ho sempre considerato l’Italia un ponte commerciale e tecnologico verso l’Africa, scrissi nelle finalità: “Mi piacerebbe che i lampedusani e i siciliani venissero coinvolti in quello che potrebbe sembrate solo un sogno. Impianti di dissalazione che pompano milioni di metri cubi d’acqua; il deserto che si trasforma in giardino. Nuove città costruite dai migranti, pronte ad accoglierne ancora e ancora. Industrie, università, e il piccolo popolo di Libia e il giovane popolo di Tunisia che crescono e diventano potenze economiche indipendenti.” Dopo il discorso del Presidente del Consiglio aggiunsi: “Un uccellino mi ha dice che Silvio Berlusconi proporrà di diventare il loro grande alleato e socio. Socio alla pari. Nobel per la pace, turismo e business: questa è la ricetta per Lampedusa. Business e ancora Business è la ricetta per il nord Africa. Anche per la Sicilia che vuole sconfiggere la Mafia”. Arrivarono alcune centinaia di adesioni, alcune molto prestigiose. Però non riuscii ad arginare il turpiloquio, gli insulti e chi si metteva in mostra. Nei post nessuno menzionava più il premio Nobel. Qualcuno fece un secondo gruppo per chiedere il Nobel. Era solo propaganda politica ma raggiunse immediatamente alcune migliaia di aderenti. Poi tutto fu fatto cadere. Allora lasciai perdere. Oggi la tragedia con centinaia di morti. Il tema è tornato di grande attualità. Ho visto che il mio gruppo esiste ancora. L’ho ripulito nella veste grafica e ho lasciato pressoché invariati i contenuti. Mi permetto di insistere sul concetto di laboratorio tecnologico e commerciale perché la soluzione per arginare l’immigrazione è quella di creare le alternative laddove le crisi si verificano. Allora a Lampedusa, invece di fare un avamposto turistico per super ricchi con golf e casinò, proviamo a realizzare un polo universitario, un incubatoio industriale, un centro per la sperimentazione in grado di seminare in Africa gli embrioni, i nuclei di sviluppo industriale e residenziale. Per accogliere i giovani in fuga dagli opposti fondamentalismi e dalle guerre. Diamoci l’obiettivo di bilanciare le spese militari, necessario deterrente della barbarie delle oligarchie e delle teocrazie africane, con eguali spese per questi nuclei che potrebbero diventare città, industrie, fattorie e attirare, a loro volta, altri giovani. Salviamoli a casa loro, titola La Padania. Una volta tanto la lega ha ragione, almeno nelle enunciazioni. Perché fra i respingimenti della Bossi-Fini e l’allargamento del diritto d’asilo c’è una terza strada, un po’ più complessa, ma credibile e forse risolutiva. 131006 Daniele Leoni

E' in corso la raccolta delle firme a sostegno della Petizione per il Nobel per la Pace 2013 a Lampedusa diretta al Comitato Norvegese per il Nobel che assegnerà il premio il prossimo 11 ottobre. L’iniziativa è di Serena Uberti tramite change.org.
Il link per firmare è http://chn.ge/1f9ZJDJ

Il gruppo Facebook è “Nobel per la pace a Lampedusa” è all’indirizzo: https://www.facebook.com/groups/nobel.pace.lampedusa/

Pubblicato anche sull'Avanti! all'indirizzo: http://www.avantionline.it/2013/10/nobel-per-la-pace-a-lampedusa-e-non-solo/#.UlZmlRDInby

martedì 1 ottobre 2013

Pacificazione.

Il Segretario del PdL e Vice Premier Angelino Alfano
Massimo D’Alema dichiara che, in caso di elezioni anticipate, il PD farà slittare le primarie sul segretario per fare quelle sul premier. Si sfrega le mani perché sa che Matteo Renzi sfiderebbe Enrico Letta e i due potrebbero anche elidersi a vicenda. Il vincitore sarebbe comunque pesantemente condizionato dal partito padrone di cui D’Alema rimarrebbe un dominus. Ieri sera Renato Brunetta è stato convincente quando ha rivelato, a Porta a porta, il motivo vero della crisi di Governo. Ha detto che quando Guglielmo Epifani, il due agosto, dieci minuti dopo la sentenza della corte di cassazione, andò in televisione a preannunciare il voto dei senatori del PD per la decadenza di Silvio Berlusconi, ruppe il patto di pacificazione alla base del governo di larghe intese. Il patto voluto da Giorgio Napolitano. Sono deboli le motivazioni sulle tasse e interessano poco agli elettori anche perché, comunque, saranno sempre sostituite da altre imposizioni, tipo le accise sulla benzina, con lo stesso impatto. Sotto sotto Berlusconi si sfregava le mani perché, in caso di elezioni, Renzi avrebbe dovuto rinunciare alla candidatura in favore di un Enrico Letta indebolito. Ben altro sarebbe stato lo scenario di un Governo Letta in piedi ancora a lungo, un Renzi segretario del PD pronto a candidarsi dopo riforme istituzionali, avendo trasformato il PD in quella cosa “cool” tanto simpatica anche al popolo dei moderati. Angelino Alfano sarebbe diventato il beniamino dei lavoratori della cooperativa rossa CMC del cantiere TAV di Chiomonte. Beatrice Lorenzin avrebbe eliminato le inefficienze della voragine sanitaria delle regioni. La riforma della giustizia, gli investimenti nell’industria e forse anche la salvaguardia del patrimonio Fininvest sarebbero stati attuati. Ma Berlusconi e D’Alema ora sono alleati. Uniti per sconfiggere i reciproci giovani, troppo svegli e pericolosi, che stavano edificando i due poli di una democrazia occidentale avanzata.131001 Daniele Leoni