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L'Olivetti P101 adottato dalla NASA per lo sbarco sulla luna |
“E’ la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente!” – Ed Hutchinson, giornalista idealista del film “L’ultima minaccia”, coperto dal frastuono delle rotative, urlava al mafioso che voleva comprare la sua libertà. La frase è rimasta nell’immaginario collettivo per simboleggiare la forza immensa delle idee positive, propulsive e libere. Non c’è ricatto, corruzione, delitto o minaccia che possa sconfiggere, alla lunga, quelle idee. E’ il ticchettio della macchina per scrivere che fa da contrappunto alla storia meravigliosa di Adriano Olivetti che, da Ivrea, negli anni Cinquanta conquistò la leadership del mercato mondiale dell’office automation, portando la sua fabbrica ad impegnare 32mila persone.
Fu primo, per efficienza produttiva e per qualità della vita dei suoi dipendenti, qualità che si trasferiva, come per magia, nella qualità del prodotto. Un margine primario enorme gli dava la possibilità di fare enormi investimenti. Partì con una piccola industria che, in poco più di dieci anni, diventò immensa. Proprio mentre stava lavorando al passaggio dalla meccanica verso la nascente elettronica, fu stroncato da morte improvvisa e inaspettata, all’età di 59 anni, il 27 febbraio 1960. La sua scuola e la sua eredità mantennero l’Olivetti di Ivrea a livelli di leadership per un decennio ma, subito dopo la sua morte, la crescita rallentò fino ad imboccare un inesorabile declino.
“Fu colpa della divisione internazionale del mercato del lavoro che non poteva consentire all’Olivetti il primato nell’elettronica e nei computer”, ha detto l’economista Giulio Sapelli a “Porta a Porta” di fronte ad uno sconcertato Bruno Vespa e a un vulcanico Franco Ferrarotti, il sociologo che, di Adriano Olivetti, fu amico e collaboratore fin dal 1945. Anche se la forza delle intuizioni poteva vincere il dispiegamento immenso di risorse messo in campo dall’americana dell’IBM, “l’Italia era destinata a diventare una potenza industriale di serie B, e non di serie A come stava facendo negli anni Cinquanta con l’Olivetti. Nel settore petrolchimico con Enrico Mattei e nel comparto nucleare con Felice Ippolito. In quegli stessi anni qualcuno pensò di fermare l’Eni assassinando Enrico Mattei, e la filiera nucleare italiana incarcerando Felice Ippolito, con una scusa.” Intanto Adriano Olivetti era già passato a miglior vita. Franco Ferrarotti condivide l’opinione di Sapelli confermata “da quanto riuscii a capire – dice – nei miei frequenti viaggi negli Stati Uniti. Non era un sogno quello di Adriano Olivetti, ma un progetto razionale.
Lui aveva capito l’enorme potenzialità dell’elettronica applicata. Morto lui però cessarono i nostri investimenti in quel settore. Poi ci fu un veto politico americano preciso accettato dalla nostra classe politica”.
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Questo articolo, il primo della mia collaborazione con l'Avanti! |
In Olivetti, come nell’Eni dopo la morte di Mattei, si tese a cancellare la memoria e la scuola impressa al gruppo dirigente. “Ci fu, nel periodo di Carlo De Benedetti, una oscillazione. Non c’era una visione chiara della strategia. Vennero fatti forti investimenti in Belgio. Se quei capitali fossero stati impiegati in Italia nell’elettronica le cose sarebbero andate diversamente. Vennero inferte anche delle ferite alla nostra identità. Si decise, in quegli anni, di mandare al macero la biblioteca Olivetti”. “Ma perché questo disastro?”, chiede sconcertato Bruno Vespa.
“Perché si voleva cancellare la memoria di Adriano Olivetti” risponde Ferrarotti. Diego Della Valle spiega che vi è una categoria di imprenditori e di manager, quelli che preferiscono manovrare il denaro piuttosto che pensare alla miglior produzione possibile, che sono allergici alla creatività del fare. Quindi si aggiunsero, ai dictat internazionali, anche forti resistenze interne. ”Porta a Porta” non ha avuto la possibilità di andare avanti nel tempo, fino agli anni Ottanta di Bettino Craxi, e alla pesante situazione che dovette ereditare, non ultime le ipoteche straniere alla nostra sovranità nazionale. E avanti ancora, fino al castigo che fu inferto a Bettino per non aver voluto soggiacere a condizioni che condannavano l’Italia alla serie B.
Che oggi, dopo cinquant’anni, si dica finalmente la verità di fronte a milioni di telespettatori è un buon segno. Lunedì e martedì ci godremo il film sulla storia di Adriano Olivetti “Il sogno Italiano”, con Luca Zingaretti nei panni di Adriano e Francesca Cavallin nei panni della moglie Paola. Il film e il romanzo hanno un impatto mille volte superiore sul pubblico che non una asettica narrazione storica. Anche questa “E’ la stampa, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Niente!”
131024 Daniele Leoni
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