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Pompei. Villa dei Misteri e l'iniziazione ai Misteri Dionisiaci. |
Anch’io ho avuto una piccola esperienza di che cosa sia Napoli e di come ragionano i napoletani. Poco più
di dieci anni fa, ebbi l’avventura di occuparmi della informatizzazione dei biglietti, del controllo accessi e dell’organizzazione delle visite guidate all’area archeologica di Pompei. Il sovrintendente era il professor Pietro Giovanni Guzzo, un’autorità nel settore, un uomo di specchiata onestà. Era stato appena incaricato dal Ministro del duro compito di mettere ordine in quel guazzabuglio dell’archeologia napoletana, di Pompei in particolare. Mi accolse a braccia aperte, il Professor Guzzo, pieno di speranza. Mi raccontò del disastro nel quale doveva operare e che non aveva nemmeno idea di quanti fossero i suoi dipendenti, delle mansioni a loro assegnate. All’ingresso dell’area archeologica di Pompei facevano bella mostra due moderne cabine in vetro e acciaio, con due tornelli, di quelli per regolare l’accesso del pubblico. Le cabine erano vuote e i tornelli giravano liberi, senza alcun meccanismo di gestione. Chiesi spiegazione. Mi risposero che avevano acquistato e installato l’hardware, ma dovevamo ancora provvedere al software di controllo. Assieme a me c’erano anche due dirigenti napoletani di Telecom perché, quell'offerta, la facevo in associazione di impresa con Telecom Italia. La prima cosa che provai a verificare furono le canalizzazioni per i cavi della trasmissione dati all’interno dell’area archeologica, che dovevano esistere poiché era un lavoro che risultava già fatto e pagato. Ma la risposta fu molto evasiva e lo sguardo dei miei accompagnatori era eloquente. Poi controllai la stanza dove erano stati installati i calcolatori. Ci guidava una signora che doveva essere una grande esperta nell’arte dell’intorto. La buona donna disse che li dentro c’era il loro “cervellone”. Era una bella stanza, con aria condizionata. C’era un tavolo su cui campeggiavano due personal computer IBM, un quadro elettrico e un piccolo “monolite” grigio con ruote, appoggiato al pavimento. Un cavo elettrico collegava il “monolite” al quadro e una ventola ronzava. Accesi uno dei personal computer. C'era il sistema operativo Ms Dos, 640 kilobyte di Ram, disco da pochi megabyte. E basta. Mi avvicinai per esaminare il “monolite”. Nessun cavo di collegamento. Solo il cavo di alimentazione. Nessuna porta per i dati. Guardai le persone Telecom che mi accompagnavano: il loro sguardo confermava il mio sospetto: era un cabinet vuoto con ventola!
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Pompei. Il piccolo lupanare. Affresco. |
Tornammo, mogi mogi, dal sovrintendete. Spiegai al professor Guzzo che erano stati truffati e che il loro sistema di controllo accessi non esisteva. Era il classico pacco napoletano. Nessun software poteva essere installato in quell’accozzaglia di carabattole: conveniva esaminare una soluzione, ex novo, con costi molto maggiori di quanto inizialmente ipotizzato. Un caloroso saluto, la promessa reciproca di rivederci presto. Una sensazione di impotenza aleggiava nell’ambiente strano di Villa dei Misteri, come se lo stile napoletano fosse più distruttivo dell’eruzione del Vesuvio che l‘aveva sepolta per quasi due millenni. Nella riunione con Telecom, un’ora dopo, prevalse la decisione di rinunciare perché era impossibile regolarizzare una gestione, basata sul malaffare, che però era la principale fonte di reddito dei 25 mila abitanti del Comune di Pompei. Io non ero tanto convinto, anche perché volevo dare una mano a quel galantuomo del professor Guzzo, ma i miei soci furono irremovibili. Avrei potuto proseguire con l’offerta anche da solo ma, sinceramente, non mi azzardai a sfidare la camorra senza un partner di rilievo, operante nel napoletano, partner che non riuscii a trovare.
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Bologna, Granarolo, Quarto Inferiore - Termovalorizzatore del Frullo |
Ripenso ogni tanto a quella vicenda e la collego alla storia infinita dei rifiuti che invadono le strade. Mi chiedo, a distanza di undici anni da allora, se sia cambiato qualche cosa. Ma sono sicuro che non è cambiato nulla. Anzi, la situazione è addirittura peggiorata. Ho il sospetto che l’avversione dei napoletani nei confronti dei termo-valorizzatori abbia una motivazione sottile. Più sottile della preoccupazione per le polveri sottili e la presunta loro minaccia alla salute. Il fatto è che, bruciando i rifiuti in un ambiente protetto come un termo-valorizzatore, dall’analisi dei fumi, che obbligatoriamente debbono essere monitorati 24 ore su 24, si scopre subito se si sta bruciando qualche cosa di tossico. Mentre, se si finge di fare la raccolta differenziata senza incenerire niente, il grosso dei rifiuti va a finire in discarica dove si possono nascondere tutti i veleni, debitamente confezionati per non essere scoperti, se non dopo decenni. Così i trafficanti di rifiuti velenosi possono continuare tranquillamente a fare la loro attività assassina e seppellire, nel napoletano, il loro carico di morte. Costruire velocemente i termo-valorizzatori in Campania sarebbe come mettere un sistema di controllo accessi efficiente nella zona archeologica di Pompei, che farebbe emergere immediatamente l’incasso, creerebbe le condizioni di maggiore efficienza e maggior risultato economico, con soddisfazione del pubblico. Ma, in quel caso, sarebbe impossibile, per i pochi boss della camorra, continuare indisturbati con i profitti in nero e con il foraggiamento di eserciti di affiliati.
La raccolta differenziata dei rifiuti presuppone un ciclo dove la parte riciclabile va riciclata e la parte non riciclabile va incenerita a temperature sufficientemente alte da non produrre diossine. Se si mandano all’inceneritore rifluiti industriali altamente tossici o radioattivi, scattano immediatamente i sistemi di allarme. Quei rifiuti speciali dovranno essere smaltiti in impianti speciali. Ma ci saranno solo quelli, a parte le ceneri inerti della combustione. Le ceneri inerti potranno essere utilizzate, a loro volta, in edilizia o nella pavimentazione stradale. Se la raccolta differenziata funziona solo in parte, gli impianti di separazione meccanica potranno dividere ciò che resta fra la parte inceneribile, gli inerti, i metalli e i veleni. Solo i veleni andranno smaltiti, sapendo bene che di veleni si tratta.
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Rogo di immondizie a Napoli. |
In conclusione: chi fa la battaglia contro i termo-valorizzatori ha qualche cosa da nascondere sotto terra. Che, sotto terra, si comporterà come una bomba a tempo, finendo per avvelenare le falde e il suolo.
A Bologna, la città del povero sovrintendente Guzzo, la discarica è da tempo chiusa e un moderno impianto gestisce la parte indifferenziata separata dai veleni, producendo ceneri inerti, calore ed elettricità. Il rifiuto organico va agli impianti di compostaggio, ma guai se qualche pila alcalina o al litio finisce nel compost che, invece di concimare, farebbe morire le piante. La plastica, il vetro, la carta, i metalli, perfino il tetrapak, separati, vanno agli appositi impianti di riciclo, ma guai se si inseriscono oggetti estranei. Tutto deve funzionare come un orologio svizzero altrimenti il ciclo si inceppa. E, nell’alto camino del termo-valorizzatore, i fumi, debitamente filtrati con i procedimenti più moderni, sono costantemente analizzati col risultato visibile, su internet, in tempo reale. Così a Bologna, a Milano, a Brescia e un po’ in tutto il centro-nord. Ho visto il progetto del nuovo termo-valorizzatore di Torino, integrato con la differenziata ed il riciclo: è un impianto ardito e potrebbe, tranquillamente, occuparsi anche dei rifiuti di Napoli. In Piemonte nessuno si azzarda a parlare separazione e riciclaggio senza incenerimento. In Piemonte tutti sanno, perché lo insegnano a scuola, che la plastica, non riciclata, va incenerita, altrimenti, prima o poi, finisce in mare a soffocare il plancton, ad uccidere i pesci e le balene.
A Napoli no, perché loro se ne fregano del mare, se ne fregano della falda. Loro mangiano babà e bevono acqua minerale.
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