mercoledì 29 maggio 2013

Volare

Luca Parmitano (a destra) assieme ai compagni della missione VOLARE
Quel lontano 1966, in primavera, dopo una serie infinita di lanci falliti, finalmente un satellite artificiale sovietico entrò in orbita attorno alla luna e scattò moltissime fotografie. L’Unità pubblicò, in esclusiva, alcune pagine di bellissime foto della superficie lunare dove si potevano vedere i crateri in grande dettaglio. Io, tredicenne, di prima mattina mi fermai all’edicola sulla strada verso scuola e comprai il giornale. Poi, una volta in classe, come avrei potuto stare attento alla lezione del professore di lettere con l’Unità nella cartella e il suo magico servizio fotografico? Fu così che spiegai il giornale sul banco e mi immersi nella lettura quasi ipnotizzato. Fui violentemente strappato dalla mia concentrazione dal bruciore ad un orecchio, agguantato dal professore, che mi trascinava in presidenza assieme al corpo del reato: il giornale comunista. Mi presi una nota, due giorni di sospensione seguiti da un sette in condotta sulla pagella. Per fortuna era il secondo trimestre per cui avrei avuto la possibilità di rimediare nel terzo, evitando la bocciatura. Allora, per la prima volta, mi resi conto che un odio politico assurdo avrebbe potuto colpire anche me, che mi interessavo di elettricità, di chimica, di esplorazione spaziale e che non avevo mai avuto attrazione per il parlare fumoso dei politici. Però non mi stavano simpatici nemmeno i preti per le loro favole su Dio, che si dovevano credere ma non si potevano spiegare. Fu così che mi convinsi che aveva ragione “quella fascista della preside”, che effettivamente io ero comunista. Un paio d’anni più tardi, partecipando alle attività del movimento studentesco, mi resi conto che i comunisti erano peggio dei preti. C’era poco da scegliere. Definitivamente, io ero socialista. Lo studio della storia del movimento operaio venne dopo. Il pensiero di Filippo Turati fu solo la conferma di un orientamento politico che, nel presente, era confortato da Riccardo Lombardi. Amavo la libertà e le belle ragazze. Mi faceva ribrezzo l’attaccamento al “vil denaro”, che consideravo un mero mezzo di scambio necessario al sistema economico. Il patrimonio vero, secondo me, andava ricercato nella materialità della produzione di beni e di servizi e in tutto ciò che era strumentale alla loro produzione. A qual fine, i beni e i servizi, se non al benessere collettivo? E quali erano i beni più preziosi, quelli che portavano diritto alla felicità? Erano la conoscenza, la cultura, la scienza, le arti. Vivere, nutrirsi, amare, procreare erano strumenti finalizzati alla conoscenza e alla sua progressione che doveva essere infinita. Allora bisognava lavorare e produrre perché non era possibile pensare, ricercare, studiare senza nutrirsi. Così il lavoro diventerà piacevole quando sarà finalizzato. Come l’amore per una donna diventerà sublime se darà dei figli. Non troppi però, perché il numero rompe l’equilibrio e, con l’equilibrio, l’armonia. Poi fare troppi figli danneggia la salute: noi le donne le volevamo belle, sane e senza troppi vestiti. I vestiti dovevano servire per proteggersi dal freddo. Il mio essere socialista era poggiato sulla contrarietà ad ogni fondamentalismo, ad ogni fede, ad ogni credenza che non fosse supportata da prove sperimentali. Tutto poteva e doveva essere messo in discussione, però senza accanimento e con moderazione. Cultura significa, prima di tutto, sapere che anche la più solida teoria può essere confutata o superata da cognizioni più estese o più complesse. Non c’è una verità assoluta e ogni medaglia ha il suo rovescio. Allora una condanna assoluta e definitiva non potrà mai essere giusta così come nessun progetto potrà mai essere perfetto. Se questo è vero, come si può sfuggire all’indeterminazione? Semplice: con la crescita costante, equilibrata e progressiva. Ciò vale in campo economico, in campo scientifico e, oserei dire, in campo demografico. L’obiezione viene spontanea: siamo sette miliardi di persone e il nostro pianeta ha dei limiti; non possiamo crescere in modo indefinito! Ebbene, quella vicenda del 1966, che mi fece scoprire di essere antifascista e poi socialista, conteneva una premonizione che, in quasi cinquant’anni, si è andata via via consolidando.
Propulsore a ioni progettato per deviare gli asteroidi a fini minerari.
L’avvenire è fuori dal nostro pianeta. Attenzione: non è un futuro prossimo, ci vorranno ancora decenni per i primi insediamenti scientifici numerosi e permanenti, fatti di un centinaio di persone. Ci vorrà molto più tempo per insediamenti civili; i primi saranno minerari e industriali. Ma questa mattina prima dell’alba, attaccato al mio computer e collegato alla NASA WEB TV e allo streaming della Stazione Spaziale Internazionale, provavo le stesse emozioni di quando avevo tredici anni. Sarà per merito di Luca Parmitano e dell’Agenzia Spaziale Italiana che, nonostante tutto, produce ancora eccellenze. Sarà per il clima di cooperazione planetaria che viene messo in scena da ogni evento della stazione spaziale (russi, americani, giapponesi, europei che lavorano gomito a gomito). Sarà per l’assortimento del gruppo di astronauti di Volare (tre russi di cui uno ha lavorato per la NASA; due americani di cui una donna; il nostro Luca Parmitano). Ebbene, era palpabile la sensazione che non ci si fermerà; magari si procederà con una lentezza esasperante ma il processo è irreversibile. Fra un secolo o due, nelle stazioni spaziali, grandi come metropoli, con la gravità artificiale, nasceranno i bambini. E ci saranno fattorie, miniere, industrie e tante tante scuole, laboratori, biblioteche, teatri per aprire la strada verso le stelle. 130529 Daniele Leoni

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