lunedì 18 novembre 2013

Il renziano De Benedetti

Giorgio Napolitano con Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera
Carlo De Benedetti ora si schiera con Matteo Renzi. La decisione, annunciata dal Corriere della sera il 13 novembre con un’intervista di Alan Friedman, ha già influenzato il messaggio pubblico dell’astro nascente della sinistra italiana. Ieri sera, a Che tempo che fa, abbiamo ascoltato un Renzi che non punta più ad un PD “cool”, snello, fresco e americano. Ha violentemente virato per un PD che non si limiterà ad eleggere i suoi al Governo delle istituzioni ma che pretenderà anche di tirare i fili dei loro comportamenti su ogni dettaglio, siano essi amministratori locali, parlamentari o ministri. Un partito, quello del novello Renzi, che ricorda il centralismo democratico e le cinghie di trasmissione dei comunisti. Un partito che pretenderà di tenere le istituzioni e la “società civile” sotto la sua cappa di piombo. E se qualcuno riuscisse a sfuggire alle maglie strette del controllo renziano, ci sarebbe sempre il primato dei giudici sui politici a rimettere le cose a posto. Del Berlusconismo vuole mantenere il lato meno edificante, quello che consiste nell’imperversare dell’informazione superficiale e pettegola funzionale al disorientamento del pubblico e non al consolidarsi di opinioni ragionate.
Matteo Renzi a Che tempo che fa.
Spero ardentemente che Matteo Renzi si accorga presto della trappola che lo aspetta perché il disegno è chiaro: governanti deboli e sotto ricatto permanente; partito d’apparato con poteri di nomina e di guida; militanti formati alla scuola di Repubblica e L’Espresso. Arbitro: Il fatto quotidiano. Spauracchio: il tintinnio di manette. Il burattinaio, sarà comunque lui, Carlo De Benedetti, che non scende in campo direttamente anche perché non è cittadino italiano. Le parole di Marco Tronchetti Provera, presidente della Pirelli verso il nostro apprendista burattinaio, riportate dai giornali mentre andava in onda la fiction televisiva su Adriano Olivetti, la dicono lunga sul dato della doppia cittadinanza: “E' evidente che io e l'ingegner De Benedetti non parliamo la stessa lingua, come e' normale possa succedere tra un cittadino italiano e un cittadino svizzero…” Non è nemmeno chiaro dove De Benedetti paghi le tasse, anche se lui dichiara di aver mantenuto la residenza fiscale in Italia. O se le paghi proprio tutte. Per esempio, l’anno scorso, la Commissione Tributaria Regionale di Roma ha condannato il Gruppo Editoriale L’Espresso ad un multa di 225 milioni di euro per un’evasione fiscale risalente al 1991. Ma la notizia è passata in sordina. Ne parlò solo Il Fatto quotidiano, una volta sola, poi più nulla. E’ proverbiale la capacità di Carlo De Benedetti di lanciare il sasso e nascondere la mano. In vita sua ha sempre comprato quote, sfruttato amicizie, occupato poltrone. Presidente degli industriali, amministratore delegato della Fiat dove venne cacciato, poi dell’Olivetti che, con la sua dabbenaggine, riuscì a distruggere: questo secondo Tronchetti Provera, e non solo. Fu anche vice presidente del Banco Ambrosiano nel periodo della morte di Roberto Calvi, impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra. Quel De Benedetti che, con la complicità di Romano Prodi, tentò lo scippo della SME, il gioiello dell’Iri, scippo sventato da Bettino Craxi nel 1985. Due anni dopo tentò la scalata a Mondadori, contrastata da Silvio Berlusconi, che finì col ben noto “lodo” cioè la spartizione di Repubblica e l’Espresso che rimasero a De Benedetti, Panorama e Mondadori a Berlusconi. Infine tangentopoli con lo strascico di veleni e di lutti, dove si dichiarò colpevole di aver pagato tangenti, per dieci miliardi di lire, ma ricevette un trattamento di favore: solo un giorno di arresti, poi libero e scagionato. E’ stata l’abilità tipica di chi antepone la finanziaria al risultato industriale. Finissimo fabbricante di trappole che catturano ricchezza a spese della collettività senza produrre nulla di tangibile in cambio. Non una grattacielo, non un ponte, non una fabbrica, non una rete informatica, non una macchina capace di vincere e nemmeno una squadra sportiva per far sognare. Ecco perché lui è cittadino svizzero: perché non ha niente dell’ingegno italiano che disegna, che progetta, che inventa e che costruisce. Il primo risultato della strana alleanza con Matteo Renzi sarà, secondo quanto riportano i giornali, l’uscita dal Governo di un Ministro molto bravo, il Ministro della giustizia, che ha lavorato parecchio in questi pochi mesi di attività. Forse ha lavorato troppo e ha dato fastidio a qualcuno. Anna Maria Cancellieri vorrebbe andarsene: allora si sta pensando ad una avvicendamento che garantisca la continuità del suo lavoro. Perché tra le qualità del Ministro ce n’è una molto rara: quella di non considerasi insostituibile. Quel che conta è la squadra. La squadra e il progetto per smantellare l’oligarchia che vorrebbe la politica e la giustizia al proprio servizio. 131118 Daniele Leoni

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Il Calcestruzzo

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