Segue da "Avventure di fine millennio (01)"
La digitalizzazione cartografica era un’attività che non portava lontano. L’investimento era alto e le prospettive, nel tempo, non erano positive, soprattutto per noi che facevano della manovalanza. Una volta caricata la mappatura della rete Italgas di Torino, io sapevo che non ci sarebbe stato altro lavoro. Italgas aveva aperto analoghi cantieri in altre città e altri peones, come noi, stavano completando il lavoro. Alcuni si erano lasciati convincere da abili affabulatori e avevano comprato uno scanner A0. Dimensioni: 841 × 1189 millimetri. Un costo astronomico, quasi quanto tutta la nostra strumentazione messa assieme. In teoria, con lo scanner, si sarebbe acquisita la mappa cartacea in un colpo solo. Si sarebbe risparmiato il lavoro certosino dei nostri geometri al tavolo digitalizzatore. In pratica, invece, sul tavolo digitalizzatore ci dovevi tornare perché non tutti i simboli della rete erano riconoscibili in modo automatico. Qualche volta la scannerizzazione ne riconosceva solo il venti, trenta per cento, soprattutto se la mappa cartacea era stata corretta, più volte, da mani diverse. Nelle mappe della rete del gas di Torino gli scarabocchi, le correzioni erano la norma, non l’eccezione. In quei casi gli automatismi saltavano e solo l’occhio umano poteva decifrare i simboli. Occorreva anche adattare di continuo la maschera di riconoscimento alla grafia dei vari tecnici che si erano avvicendati sulle mappe cartacee nei decenni di storia della rete. No, decisamente lo scanner non era una buona idea, almeno per la rete del gas.
Giuseppe Verdi |
Meglio far lavorare, a ciclo continuo, una brigata di geometri, con dei premi di produzione per quelli che avevano più occhio. Poi, una volta terminato il lavoro, i geometri li potevi congedare. Sapevamo tutti che era un lavoro a termine. Italgas avrebbe gestito, con i propri dipendenti, la nuova cartografica computerizzata e la Tema Spa avrebbe fatto l’assistenza. Erano già alcuni anni che i vari enti territoriali e le imprese che gestivano le reti stavano meccanizzando la loro cartografia ed eravamo ormai nella fase della messa a regime. Chi aveva comprato lo scanner A0 rischiava di rimanersi un costosissimo oggetto inutilizzabile con le rate del mutuo ancora da pagare. Io la stazione grafica la potevo sempre riconvertire per altri usi. Il plotter e il tavolo digitalizzatore potevo adoperarli per altre attività anche se sporadiche. Ma uno scanner da cento milioni di lire, finita la fase della digitalizzazione delle vecchie mappe cartacee, non avresti potuto venderlo nemmeno a metà prezzo!
La biglietteria elettronica invece era un altro discorso. Da quell’idea poteva nascere un lavoro stabile e in crescita. La piccola Leoni, tecno-artigiana, poteva diventare una grande impresa, conquistare il mercato italiano e avventurarsi anche oltre confine. Questi erano i miei pensieri fra Lugo e Milano, in autostrada, quella mattina, all’alba, nel Maggio 1990. Certo, oltre confine! Perché La Scala è un palcoscenico sul modo e l’opera lirica parla italiano anche a Londra, a New York, a Tokyo. Con l’esperienza consolidata al Teatro Comunale di Bologna, la commessa appena acquisita per la nuova biglietteria del Teatro Donizetti di Bergamo e La Scala avrei potuto far partire seriamente la filiera del nuovo prodotto. Infatti c’era anche Bergamo col suo teatro prestigioso. I bergamaschi erano stati i primi a farsi convincere dal successo bolognese e mi avevano appena commissionato la stessa, identica biglietteria. Era stata una decisione laboriosa perché il Donizetti non era un ente autonomo come il Comunale di Bologna, ma era gestito dal Comune di Bergamo. Il Comune di Bergamo però non aveva fretta. Mi dissero chiaramente di fare le cose con calma perché loro ci tenevano a non fare salti nel buio e poi bisognava addestrare bene il personale. Siccome Bergamo non è a mezz’ora di macchina come Bologna, un intervento in caso di emergenza sarebbe stato più problematico. Ora che si affacciava all’orizzonte anche La Scala, era indispensabile un sistema che consentisse il controllo remoto e la tele-assistenza. Bisognava cambiare sistema operativo. Passare dall’MS-DOS allo UNIX cioè da un sistema operativo mono-processo, che consentiva una sola operazione alla volta, ad un sistema multi-tasking, che consentiva anche operazioni parallele alla normale operatività. I processi paralleli avrebbero potuto gestire le telecomunicazioni via modem e i programmi di monitoraggio per controllare i flussi del programma principale. In caso di malfunzionamento si sarebbero potuti correggere gli errori e far ripartire il sistema senza muoversi dalla sede aziendale di Lugo di Romagna. Inoltre occorreva fare una copia degli archivi in tempo reale, di modo che, in caso di rottura, si potessero recuperare tutti i dati. Non c’era alternativa perché i grandi teatri erano nelle grandi città e non era pensabile creare un punto di assistenza per ogni teatro. Il mondo dell’informatica era già in rapida evoluzione e il software doveva essere costantemente aggiornato alle nuove esigenze. Un certo numero di clienti, che fossero teatri importanti, poteva assicurare le condizioni di questo costante aggiornamento. Il teatro poi è un ambiente creativo, pieno persone stimolanti, fantasiose e particolarmente recettive alle novità. Anche la biglietteria di Bologna aveva una copia permanente degli archivi. Veniva generata dal programma, che faceva una doppia scrittura di tutte le transazioni, su due archivi che erano su due calcolatori distinti collegati in rete. Ma per La Scala si trattava di allestire almeno dieci postazioni di biglietteria fra vendita al pubblico e retro sportello. Il processo di copia doveva essere gestito da un apposito programma che avrebbe fatto solo quello, avrebbe gestito cioè solo l’allineamento degli archivi in due calcolatori distinti. Nel 1990 il mercato offriva già sistemi con queste funzioni, fault tolerance, cioè a prova d’errore, ma avevano prezzi inaccessibili. La soluzione, almeno per me, sarebbe stata quella di acquistare calcolatori standard a prezzi contenuti e scrivere il software necessario per funzioni analoghe a quelle di sistemi che costavano dieci volte di più. Ma per far questo occorreva essere bravi e avere le credenziali. Bravi lo eravamo, soprattutto per l’affiatamento che si era creato fra me e Massimo dove io, che avevo più esperienza, trovavo le soluzioni eleganti e lui era in grado di fare miracoli in linguaggio macchina. A completare la squadra era arrivata Daniela che era una via di mezzo: brava programmatrice, furba come la volpe, svelta come il gatto ma anche molto equilibrata nonostante la giovanissima età. C’era anche Liana, amica di Daniela, la nostra segretaria e ragioniera e Mauro, uno dei geometri, che avevo pensato di tenere perché era infaticabile e aveva gusto estetico. Poteva fare tutte le attività ripetitive dove non era necessario conoscere i linguaggi di programmazione ed essere di ausilio alla grafica delle interfacce utente, dei manuali e delle offerte commerciali. Bella squadra!
Intanto ero arrivato a Milano. Ero sereno e soddisfatto. C’era Daniela con me, per far da testimone di quello che sarebbe stato un evento incredibile. E anche per recitare da segretaria. Era bella intelligente e sexy Daniela, ma io, caprone, non fui di grande compagnia perché ero completamente preso dai miei pensieri.
Ero in via Filodrammatici per la prima volta in vita mia. Aveva qualche cosa di familiare, una premonizione benefica, come essere a casa. Salii la scala della sovrintendenza e sentivo un’elettricità strana, come se lo spirito di Verdi, di Toscanini non avessero lasciato l’edificio. Lontano le voci di un coro. Anche al Comunale di Bologna si respirava la stessa atmosfera. Nel periodo del collaudo della biglietteria provavano Carmen e le note del coro, quando ci penso, risuonano ancora. Sono nel tempio della musica italiana, pensai. La musica, la sintesi più forte e impalpabile dell’animo umano. L’anima del Pianeta. La musica non perdona la mediocrità, non consente l’errore.
110502 Daniele Leoni (continua)
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