Alle ore 20 del 7 dicembre 1990, alla presenza del Sindaco di Milano e delle massime autorità italiane ed europee, il pubblico elegante riempiva la platea, i palchi e le gallerie del Teatro alla Scala. Per la prima volta un sistema elettronico era stato utilizzato per assegnare tutti i posti. Teatro strapieno e nessun doppio. La biglietteria Charta, completamente italiana, faceva in suo ingresso nel palcoscenico più famoso del mondo.
Articoli su tutti i giornali ma, il più strabiliante, fu quello di due intere pagine della prestigiosa rivista teatrale Hystrio che parlava di tecnologia e inaugurò, per l’occasione, una rubrica intitolata Technè. “Una biglietteria del Duemila per la Scala. L'elettronica ormai ti sistema a teatro. In questa intervista il costruttore del moderno dispositivo per la prenotazione dei posti nel tempio della lirica racconta le fasi di un'avventura tecnologica che è stata coronata dal successo”.
Il Teatro alla Scala |
Il costruttore ero io. Non solo il costruttore ma anche il titolare della micro-impresa che aveva osato sfidare Milano, con una operazione di tecnologia e di immagine degna di una multinazionale. Sono passati ventuno anni da allora. Per la prima volta mi accingo a raccontare quella storia, comprese le parti più riservate e gli sviluppi prestigiosi. I fatti e le vicende che mi consentirono, in pochi anni, di diventare il leader dei sistemi elettronici di biglietteria, partendo da zero.
Mi ricordo che a metà Maggio del 1990 ricevetti una telefonata a sorpresa. Era Carlo Maria Badini, allora sovrintendente della Scala, che senza tanti preamboli mi disse:
- Leoni, siamo in emergenza! Quanto tempo ci mette lei, per venire a Milano nel mio ufficio?-
Rimasi di sasso. Erano anni che tentavo inutilmente di parlale con Badini. Non ero mai riuscito a farmi ricevere. Avevo scritto, fatto offerte ma non venni preso in considerazione. La Scala aveva aggiudicato da poco la realizzazione della biglietteria elettronica ad una società di Milano e io, nonostante avessi fornito una biglietteria elettronica perfettamente funzionante a Teatro Comunale di Bologna, non venni nemmeno invitato. Eppure erano venuti a Bologna a vedere il sistema. Era un gioiellino. Una di quelle cose fatte con amore, sviluppato con la piena collaborazione e con l’entusiasmo delle due cassiere, Patrizia e Germana, che conoscevano tutti i trucchi del mestiere. C’era anche Sergio Fiorelli che faceva il tifo per me, a Bologna. Diventò direttore dopo aver lavorato, per anni, al centro elettronico del Comune. Quindi aveva le mani in pasta. All’inizio da solo, poi con la collaborazione di Massimo, riuscii a partorire una fantastica biglietteria con due postazione di vendita e un posto di retro-biglietteria. Il tutto girava in MS Dos. L’applicazione era sviluppata in Quick Basic Microsoft con le parti di gestione del video in linguaggio macchina. Per ogni postazione i monitor erano due: il video grafico, incassato orizzontalmente nel bancone, faceva le veci della pianta di carta del teatro, dove tradizionalmente venivano segnati i posti. Il secondo monitor funzionava da consolle per il cassiere. La novità strabiliante erano i tempi di caricamento della pianta, a richiesta del cliente. Una pianta di oltre mille posti veniva visualizzata in due secondi, perfettamente aggiornata. E il sistema poteva gestire tranquillamente tutta la stagione. Poteva richiamare gli eventi della stagione precedente con tutte le sue repliche, con i dati analitici delle vendite incluse le anagrafiche degli abbonati e degli spettatori fuori abbonamento. Gestiva vendite, prenotazioni, emetteva i documenti fiscali e faceva perfino le statistiche. Ma la cosa di cui nessuno riusciva a capacitarsi era la velocità di caricamento della pianta con tutti i posti colorati: rossi gli occupati, verdi i liberi, gialli i prenotati e magenta i posti d’obbligo assegnati alle autorità. Due secondi contro il mezzo minuto della concorrenza. E le postazioni operative erano tre in contemporanea, anche sullo stesso spettacolo. La biglietteria del teatro Comunale di Bologna entrò in esercizio in settembre 1987, con tanto di autorizzazione Siae (Società Italiana Autori Editori) per l’emissione del biglietto in modulo continuo. E il borderò, che però doveva essere ricopiato, a mano, nel modello ministeriale. Se avrete pazienza di seguirmi vi racconterò il trucco di quella velocità, che non è un marchingegno tecnico anche perché, nel 1987, non ero l’unico a conoscere il linguaggio assembler. Patrizia e Germana gongolavano orgogliose della loro super-super biglietteria. Anche Sergio Fiorelli, il direttore, Paolo Girotti il capo degli affari generali e, buon ultimo, Carlo Fontana, sovrintendente. Mi raccontarono che Fontana all’inizio era contrario perché, “se doveva morire annegato, preferiva annegare nel mare e non in un bicchier d’acqua …” Così disse, riferendosi alle dimensioni della mia azienda. Poi si fece convincere dai suoi collaboratori e soprattutto dal prezzo basso. Tutto andò bene, venni pagato e stipulai un generoso contratto di manutenzione evolutiva. Il sistema lo fornii in licenza d’uso, nel senso che lo potevo vendere anche ad altri. Anzi il Teatro mi avrebbe fatto pubblicità. E me la fece, Fontana per primo. Vennero tutti a vedere la biglietteria di Bologna ma nessuno si decideva a fare il grande passo. Io, per sopravvivere, mi dedicai alla cartografia. O meglio, alla digitalizzazione cartografica. Applicai l’esperienza maturata con la grafica della pianta del teatro per fare delle applicazioni di gestione dei simboli e delle poligonali. Riuscii ad avere, in terza battuta, la commessa del trasferimento della rete Italgas della città di Torino, in un nuovo sistema cartografico. In terza battuta perché il primo contraente era un consorzio torinese che aveva subappaltato alla Tema SpA del gruppo ENI, che aveva assegnato a me la parte esecutiva. Ma io ero contento. Avevo assunto a contratto cinque geometri e li facevo lavorare, a turni di sei ore, al tavolo digitalizzatore. Avevo scritto le routine di controllo, di gestione degli errori, di chiusura delle poligonali, di allineamento delle mappe nei bordi, di correzione della deformazione della carta sui capisaldi. Avevo scritto anche un programmino che mi consentiva di assegnare un punteggio di produttività ai miei geometri. In quel periodo venne a lavorare da me Daniela, diciannove anni, diplomata in Informatica all’Istituto Tecnico. Grande Daniela. Si intese immediatamente con Massimo. I programmi per la cartografia li scrivevamo in Lisp, il linguaggio dell’intelligenza artificiale, almeno così davamo ad intendere. A dir la verità usavamo il Lisp perché era il linguaggio di programmazione di Autocad, il più economico dei sistemi di grafica tecnica. Si poteva trovare anche copiato. Tutto l’armamentario costava quasi un centinaio di milioni di vecchie lire. I componenti erano: computer grafico veloce, video grafico grande e ad alta risoluzione, tavolo digitalizzatore e plotter A0 a penne. Poi c’era una seconda stazione che serviva per le attività accessorie, per lo sviluppo e per la gestione del plotter. Ciclo continuo, 24 ore, 7 giorni. La digitalizzazione si fermava la domenica per la manutenzione. Il cliente, oltre ai dischetti con le mappe digitalizzate, voleva anche la stampa dei contro-lucidi in poliestere, che costava una follia e che provocava un'usura inaudita dei pennini del plotter. Anche noi facevamo delle stampe di verifica, ma in carta lucida normale. Mi ricordo che costruii un grande tavolo, con i porta-rotoli sotto e con le guide in alluminio per il taglio della carta, perché conveniva comprarla in rulli.
Carlo Maria Badini |
Fu una bella esperienza, fatta di tante attività. Di alta tecnologia ma anche manuali. Anche in quel lavoro c’era concorrenza. Io riuscivo a tenere testa al mercato perché non compravo il software ma lo scrivevo. E poi eravamo tutti ragazzi con la voglia della sfida e, qualche volta, il coraggio dell’incoscienza.
Ma torniamo a Carlo Maria Badini, il sovrintendente della Scala, che mi voleva vedere subito, in quel mese di maggio del 1990, nel suo ufficio a Milano.
- Mi dia tre ore di tempo e sono da lei - risposi.
- Facciamo domani mattina alle 9, qui in via Filodrammatici - replicò Badini col suo vocione.
- D’accordo, domani mattina!-
- Mi dia tre ore di tempo e sono da lei - risposi.
- Facciamo domani mattina alle 9, qui in via Filodrammatici - replicò Badini col suo vocione.
- D’accordo, domani mattina!-
110501 Daniele Leoni (continua)
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