venerdì 21 settembre 2012

A Taranto e in Regione Lazio si decide il futuro del Paese.



L'Ilva di Taranto
Quando la politica cede alla corruzione allora perde ogni autorevolezza e si spalanca la porta alla follia. L’epilogo è sempre l’involuzione autoritaria. I segni premonitori nell’Italia di oggi sono drammatici . Due esempi. Il primo: la pretesa dei giudici di chiudere l’Ilva di Taranto determinando così la fine della siderurgia italiana, spazzando via un milione di posti di lavoro. Si, un milione! Si consideri la crisi conseguente dell’indotto e dei comparti collegati che sono sostanzialmente tutta l’industria meccanica. Ebbene, questa pretesa è semplicemente folle. Il secondo, molto meno macroscopico ma egualmente significativo: la pretesa di Beppe Grillo di chiudere il cantiere del nuovo termovalorizzatore di Parma, sputando i faccia alla buona amministrazione dell’Emilia Romagna e di tutto il nord Italia, dove i rifiuti sono smaltiti con razionalità come in Germania e nell’Europa più avanzata. Una trovata degna di un Re buffone. Altre decine di esempi possono essere menzionati, di fronte ai quali il lavoratore onesto, il padre di famiglia, il giovane studioso, il contribuente si sentono impotenti. Qualcuno cede alla tentazione della disonestà perché, “solo i truffatori e bugiardi possono fare strada”. Per gli onesti c’è solo una mannaia che cade, inesorabile, al primo passo falso, al primo errore. Vorrei menzionare un terzo esempio, cioè la disinformazione che ha condotto gli italiani al voto per la rinuncia definitiva all’energia nucleare per due volte consecutive, unici al mondo! Secondo le ultime ricerche sembra che le riserve di idrocarburi siano molto più abbondati di quanto ipotizzato, allora è probabile la discesa del prezzo del petrolio e l’Italia, nonostante le sue scelte scellerate, potrebbe salvarsi dalla catastrofe energetica. Ma statene certi, si formerà presto una folla urlante contro le ricerche petrolifere per lo sfruttamento delle scisti bituminose, dove sono conservate gran parte delle riserve mondiali. Gli Stati Uniti, all’avanguardia in questa nuova tecnica di estrazione, stanno velocemente diventando grandi esportatori di idrocarburi contribuendo a calmierare il prezzo. Tutto bene allora? Neanche per sogno perché smantellando l’industria nucleare italiana abbiamo smantellato anche la scuola, la ricerca sulle tecniche di produzione e di sicurezza e i comparti industriali connessi, dove eravamo leader nel mondo. Poi abbiamo smantellato l’industria petrolchimica, immolando, fra l’altro,  con due “suicidi” eccellenti, un manager pubblico e un imprenditore privato: Gabriele Cagliari e Raul Gardini. Così, solo per coerenza con l’antico assassinio di Enrico Mattei!  Vorrei fare una domanda ai giudici e ai custodi dell’Ilva di Taranto:  
- Ma non potete fare, a Taranto, ciò che avete fatto con la Parmalat? Non avete, voi giudici, a Parma, cacciato via e incarcerato l’odiato Callisto Tanzi salvando però l’azienda, l’occupazione dei lavoratori e il comparto produttivo? Che cosa vi spinge verso la soluzione sadica di spegnere gli altiforni, gettando così sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie e sferrando il colpo di grazia all’economia del Paese? -
La risposta è nota:
- La siderurgia, a Taranto, è un cancro che falcia tante vite umane. -
E  allora, non vi comportate, voi,  come un chirurgo che, di fronte a un tumore al cervello, tagli la testa al paziente? Ammesso e non concesso che le statistiche sulle morti per tumore a Taranto siano veritiere e  non pilotate da interessi inconfessabili. In ogni caso i colpevoli siete voi, giudici di Taranto, inadempienti per cinquant’anni di fronte al disastro ambientale, forse perché collusi. Che  vergogna!
Antonio Galloni, economista, già Direttore Generale Ministero del Lavoro
A ben riflettere la denuncia dell’economista Antonio Galloni, ex Direttore Generale del Ministero del Lavoro, secondo cui nel 1990 “ci fu l’accordo tra Kohl e Mitterrand in cui Kohl, in cambio dell’appoggio di Mitterrand per la riunificazione tedesca, rinunciava al marco e quindi accettava la prospettiva dell’euro, accettava cioè di arrivare a una moneta comune che proteggesse la Francia. Ma quest’accordo prevedeva anche la deindustrializzazione dell’Italia …” acquisisce, oggi più che mai, un’ulteriore conferma. Quell’accordo fu onorato da Guido Carli, da Carlo Azelio Ciampi e da Romano Prodi. Quell’accordo fu la conseguenza di una decisione ben più antica fra gli alleati vincitori nel 1945, che prevedeva lo smantellamento dell’industria tedesca e italiana. I tedeschi resistettero e l’ebbero vinta. Anche gli italiani resistettero ed Enrico Mattei, appoggiato da De Gasperi, non smantellò l’ENI disubbidendo gli ordini. Anche Palmiro Togliatti era d’accordo. Anche Amitore Fanfani e fu il boom economico degli anni 50 e 60. Poi Aldo Moro ed Enrico Berlinguer non ebbero memoria storica, o meglio, furono degli analfabeti dal punto di vista industriale. Furono condotti, in quanto analfabeti, alla guida del primo partito di governo e del primo partito di opposizione dai nemici dell’Italia e fu il declino. Bettino Craxi provò a resistere e fu massacrato. Silvio Berlusconi provò a resistere e una guerra, senza esclusione di colpi, lo ha logorato per vent’anni fino al folle epilogo di questi giorni. Ma i nemici in guerra con l’Italia non hanno previsto la schiena dritta di Giorgio Napolitano, la saggezza di Angela Merkel (non a caso è una donna), la guida di Mario Draghi alla BCE e la premiership di Mario Monti, condivisa da Silvio Berlusconi. Tutti pezzi da novanta che assieme fanno squadra e sistema.
Mi rivolgo a Susanna Camusso e lo faccio con convinzione perché è una donna. Le vorrei ricordare che anch’io, ventenne, mi feci le ossa in CGIL come segretario di zona della FIOM. Frequentai la scuola centrale di Ariccia poi, per qualche anno, mi dedicai ai contratti aziendali prima di fare il giornalista poi l’imprenditore. Vado fiero di quell’esperienza che mi ha insegnato tanto del sindacato e delle relazioni industriali fondamento di ogni democrazia occidentale. Ebbene dobbiamo disarcionare gli ultimi nostalgici della deindustrializzazione che ora stanno usando alcuni magistrati e i falsi ambientalisti nella loro, folle, missione suicida. Se la CGIL appoggiasse, nell’interesse dei lavoratori, una soluzione ragionevole a Taranto, sarebbe l’inizio della svolta per uscire dalla crisi.
Anche Renata Polverini è una donna che sta facendo la sua battaglia contro le ruberie dei suoi colleghi e per la moralizzazione. Mi ricordo che tentarono di farla fuori per renderla ineleggibile provocando un disguido nella presentazione della lista del PdL alle elezioni regionali in Lazio. Ora capisco le ragioni di quel disguido. Mi auguro che Renata Polverini continui la sua battaglia oltre il Lazio perché i meccanismi delle ruberie sono gli stessi in tutte le regioni e in tutti i gruppi politici. Perché la battaglia è trasversale come è trasversale la corruzione che scatena la follia. 120921 Daniele Leoni

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http://www.ilcalcestruzzo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=27460

Leggi anche:
http://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/28/un-tecnico-degli-anni-ottanta-parla-della-crisi-delleuro-di-andreotti-e-della-deindustrializzazione-italiana/

http://www.senigallianotizie.it/1327319183/la-deindustrializzazione-dellitalia-e-il-funzionario-oscuro-che-fece-paura-a-kohl



Considerazioni:

Le conclusioni pessimistiche e anti euro che si desumono dall'articolo non mi convincono. Ho ordinato il libro di Nino (Antonio) Galloni pubblicato di recente, per capire meglio. Dopo aver letto il libro mi riprometto di ritornare sull’argomento.



Chi ha tradito l'economia italiana? Come uscire dall'emergenza

Autore Galloni Nino Editori Riuniti Univ. Press  (collana Politica & società)

La sconfitta del principale paradigma liberista (il risanamento dei conti pubblici come presupposto dello sviluppo) sostituito dal paradigma voluto dal potere vincente, la speculazione internazionale (che, invece, sta sostenendo, subito lo sviluppo con conti in ordine) non risulta ancora digerita dai governi e dagli Stati: che continuano ad anteporre "lacrime e sangue" e a non selezionare le misure di politica economica per scegliere solo quelle che aiutano lo sviluppo senza peggiorare i conti ovvero che migliorano i conti senza penalizzare lo sviluppo. Su questa strada è addirittura l'euro a rischiare, a breve, una brutta fine. Oggi la speculazione finanziaria è dieci volte più forte delle classiche istituzioni internazionali. La stessa Germania, in Europa, non riesce a tenere il passo con il cambiamento dei paradigmi. La svolta liberista anti-keynesiana della fine degli anni settanta ha esaurito la sua spinta devastatrice, ma la attuale prepotenza della finanza internazionale, dove ci sta portando? Su tale linea di ragionamento l'economista Nino Galloni propone questa ricerca che parte dal dopoguerra per arrivare alla cruciale resa dell'Unione Europea al diktat americano fra ottobre e novembre del 2011.
 

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